A due anni e quattro mesi di distanza dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina sono ancora più di duemila e cento le aziende multinazionali che non hanno lasciato la Russia, nonostante fossero teoricamente tenute a farlo dai vari pacchetti di sanzioni approvati da Stati Uniti ed Unione Europea. È quanto emerge da una rilevazione effettuata dalla Kyiv School of Economics, ateneo della capitale ucraina associato all’Università di Houston. Il medesimo rapporto specifica che le aziende che hanno effettivamente lasciato Mosca sono 1.600, quindi quasi sei multinazionali occidentali su dieci continuano ad operare in Russia.  Come fanno? Gli escamotage utilizzati sono diversi, dalla dichiarazione dell’impossibilità di trovare acquirenti locali non sottoposti a sanzioni occidentali, agli stratagemmi come quello adottato dalla Coca-Cola che, ufficialmente afferma di avere lasciato il Paese, ma nei fatti ha creato una nuova società controllata che continua a vedere la stessa celebre bibita sotto diverso nome.

A incidere sono state anche le contromisure adottate dal governo russo. Alcune aziende, come Danone e Carlsberg, che hanno annunciato la vendita di alcune loro produzioni e/o servizi, hanno visto il sequestro e la nazionalizzazione dei loro beni. Mosca ha poi permesso alle multinazionali straniere di lasciare il Paese ma ad un costo elevato, ponendole dunque di fronte ad una gravosa scelta. La Russia ha gradualmente aumentato il costo della partenza delle aziende, imponendo uno sconto obbligatorio del 50% sui beni provenienti da Paesi “ostili” venduti ad acquirenti russi e una “tassa di uscita” minima del 15%. In tal modo è stato anche sempre più difficile trovare acquirenti locali che fossero accettabili sia per il venditore sia per Mosca, il cui coinvolgimento non fosse in contrasto con le sanzioni occidentali. Quindi, nonostante tantissime aziende avessero annunciato il loro ritiro dal mercato russo, alla fine hanno deciso di rimanervi per non dover svalutare enormemente le loro filiali locali. O, almeno, questa è la versione ufficiale che hanno fornito.

Ad esempio, la multinazionale francese Air Liquide, che fornisce gas industriali e servizi a vari settori, tra cui produttori medici, chimici ed elettronici, nel settembre 2022 aveva annunciato di aver firmato un memorandum d’intesa per vendere la sua attività in Russia al gruppo di amministratori locali che l’aveva gestita fin a quel momento; tuttavia, l’accordo non ha mai ricevuto l’approvazione del governo russo, lasciando l’azienda in un limbo. PepsiCo, nel marzo 2022, aveva annunciato di aver sospeso la vendita e la produzione della sua bevanda di punta in Russia, ma continua tutt’ora a gestire un’attività lattiero-casearia che impiega circa 20.000 lavoratori diretti e più di 40.000 lavoratori indiretti. «Come azienda di alimenti e bevande, ora più che mai dobbiamo rimanere fedeli all’aspetto umanitario della nostra attività. Ciò significa che abbiamo la responsabilità di continuare a offrire i nostri altri prodotti in Russia», scrisse nel settembre 2022 l’amministratore delegato, Ramon Laguarta, in un’e-mail ai dipendenti, a giustificazione della scelta di non abbandonare del tutto il mercato russo.

La Dobri cola ha sostituito la Coca-Cola sugli scaffali dei supermercati russi, ma è prodotta dalla stessa multinazionale americana

Come accennato, invece, Coca-Cola, ha utilizzato un altro stratagemma. Sebbene abbia deciso di non vendere più direttamente la sua bibita nel Paese, la multinazionale statunitense ha optato per la creazione di una società russa formalmente autonoma, Multon Partners, le cui versioni russe dei marchi Coca-Cola includono la Dobry Cola, adesso tra le bibite più vendute in Russia. Nelson Peltz, membro del consiglio di amministrazione di Unilever, ha detto di aver fatto pressioni sul gruppo, che ha esplorato le opzioni per una cessione delle attività, affinché la società non se ne andasse dal Paese. «Se ci ritiriamo dalla Russia, si prenderanno i nostri marchi. Non penso che sia un buon affare», ha detto Peltz, sottolineando che rivali come P&G e Colgate-Palmolive non hanno lasciato il paese e chiedendosi: «Perché diavolo dovremmo?». Insomma, al di là dei proclami e degli annunci, le sanzioni occidentali non sono riuscite a portare effettivamente le aziende occidentali fuori dal mercato russo.

[di Michele Manfrin]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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