Sono in tutto sette i candidati italiani alle prossime elezioni europee segnalati come “impresentabili” dalla Commissione parlamentare Antimafia, in violazione del codice di autoregolamentazione. Ad aggiudicarsi il primato è Forza Italia, che conta tre profili in lista, seguita da Fratelli d’Italia, con due nominativi, e dal Partito Democratico, che vede un singolo esponente nell’elenco. In queste ore, la discussione si è però in particolare focalizzata sui criteri di candidabilità del codice di autoregolamentazione redatto dalla Commissione parlamentare Antimafia – dichiarazione comunque non vincolante per le forze politiche – che ha prodotto l’inserimento nella lista degli “impresentabili” di candidati che, nella maggior parte dei casi, sono a processo senza essere al momento incorsi in condanne, mentre alcuni personaggi già colpiti da condanne per reati non inclusi nel Codice non sono stati ricompresi.
La rilevazione effettuata dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo su una lista di 817 nominativi che le era stata sottoposta dalla Commissione ha prodotto una scrematura scremato fino a un totale di 20 nomi, seguita dalle verifiche degli stessi commissari, che hanno individuato 7 profili che risultano in violazione del Codice di Autoregolamentazione. Analizzando la lista degli “impresentabili”, ne troviamo quattro di area centro-destra. Si tratta di Angelo Antonio D’Agostino (Forza Italia), presidente dell’Avellino calcio e responsabile Innovazione e sviluppo del partito, a processo per corruzione; Luigi Grillo (Forza Italia), già sottosegretario a palazzo Chigi nel primo governo Berlusconi, condannato a 2 anni e 8 mesi per associazione per delinquere e corruzione; Marco Falcone (Forza Italia), assessore all’Economia della Regione siciliana, rinviato a giudizio per induzione indebita e tentata concussione; Alberico Gambino (Fratelli d’Italia), coordinatore provinciale di FdI ed ex sindaco di Pagani, Comune sciolto per mafia; Giuseppe Milazzo (Fratelli d’Italia), europarlamentare uscente del partito meloniano ed ex capogruppo di Forza Italia all’Assemblea regionale siciliana, a processo per tentata concussione. È poi presente il nome di una candidata renziana di Stati Uniti d’Europa, Filomena Greco, sindaca di Cariati (Cosenza) dal 2016 al 2018 e dal 2018 al 2023, rinviata a giudizio per turbativa in gara d’appalto, e dell’esponente del Partito Democratico Antonio Mazzeo, Presidente del Consiglio regionale della Toscana, rinviato a giudizio per bancarotta fraudolenta.
I criteri di candidabilità del Codice di Autoregolamentazione, stabiliti dalla Commissione nel 2019 durante il governo M5S-Lega, sono particolarmente dibattuti. Per entrare nella lista degli “impresentabili”, infatti, occorre essere formalmente imputati – ma solo per specifici reati –, oppure essere stati colpiti da misure di prevenzione personali o patrimoniali ai sensi del Codice antimafia, rimossi dall’incarico di amministratore locale ai sensi del testo unico degli enti locali o aver ricoperto la carica di sindaco o di componente della giunta negli enti sciolti per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso. Se si alza lo sguardo sullo spaccato complessivo, ci si rende subito conto di alcuni effetti che potrebbero sembrare critici, se non paradossali. Se infatti da una parte all’interno della lista compaiono persone le cui responsabilità penali non sono ancora state compiutamente accertate, dall’altra non figurano esponenti politici – anche di primo piano – già raggiunti da sentenze di condanna. È per esempio il caso di Vittorio Sgarbi (FDI) pregiudicato per truffa aggravata e continuata e falso ai danni dello Stato, Roberto Cota (Forza Italia), condannato definitivamente per peculato, e Aldo Patriciello (Lega), condannato per finanziamento illecito. Tutti reati che non rientrano nel codice. Il caso più eclatante è forse quello di Carlo Fidanza (FDI), che ha patteggiato 1 anno e 4 mesi per corruzione. Essendo questo un caso di patteggiamento “standard”, ovvero di un accordo su una pena inferiore a due anni, da quanto si apprende Fidanza avrebbe infatti beneficiato di una norma introdotta due anni fa dalla riforma Cartabia, che stabilisce che, ove non siano applicate le pene accessorie, “non producono effetti” le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che vanno a equiparare il patteggiamento alla sentenza di condanna.
[di Stefano Baudino]