Sta assumendo aspetti molto interessanti, almeno sul piano dell’analisi delle dinamiche politiche, la vicenda giudiziaria in corso al riguardo delle presunte irregolarità commesse dal presidente – pro-tempore della giunta regionale della Liguria.
Il tema principale, in questo momento, riguarda la linea assunta al riguardo del rapporto tra l’indagato e il suo ruolo istituzionale, la maggioranza che lo sostiene, l’operatività dell’amministrazione (con al centro la continuità di progetti che riguardano direttamente realtà coinvolte nell’inchiesta: “in primis” il porto di Genova).
L’indagato, attualmente agli arresti domiciliari, ha impostato una linea di rigetto delle istanze di richiesta di dimissioni formulate dalle opposizioni richiedendo ai rappresentanti in Consiglio delle liste che ne avevano sostenuto l’elezione di respingerle compattamente.
Beninteso non è una linea che dichiara l’estraneità del presidente ai fatti contestati ma, rivendicandone la regolarità, intende segnare una nuova linea di difesa rispetto a precedenti episodi di intreccio tra questione morale e questione politica verificatisi nel corso degli anni in molte regioni (e amministrazioni locali) in Italia e che ebbero – in una qualche misura. scaturigine dal caso Teardo del 1983 (esploso contemporaneamente al caso torinese Zampini – Biffi Gentili che registrò il ruolo positivo di protagonista del sindaco Diego Novelli).
La linea elaborata, in questo caso, dal presidente della Regione Liguria si basa su due assunti:
1) far pesare, nel giudizio dei magistrati, la bontà del lavoro dell’amministrazione regionale nel definire nuovi progetti per la Liguria e di conseguenza far evidenziare come parte del giudizio la necessità di non spezzare la continuità operativa con il prolungamento di provvedimenti restrittivi (di cui non si chiede peraltro la revoca, quasi che questa dovesse arrivare da un autonomo convincimento dei magistrati);
2) ridefinire i confini tra finanziamento della politica e ruolo dell’amministrazione ritenendo – in sostanza – giusta l’assunzione di provvedimenti ad hoc in cambio di finanziamenti alle campagne elettorali e all’ordinario funzionamento di gruppi politici. Una codificazione collocata come evoluzione (per semplificare )del concetto di esercizio e risultato di un lavoro di lobbing posto in stretto rapporto con le necessità di funzionamento dell’amministrazione.
In sostanza ci troviamo di fronte ad una questione molto precisa riguardante il finanziamento privato dell’agire amministrativo a fronte di un esercizio di progettualità concordata: finanziamento poi traslabile ai soggetti che concorrono alla formazione della decisionalità e della rappresentanza politica e che rappresentano ormai un tutt’uno con i soggetti che esercitano l’attività amministrativa (sul piano istituzionale l’elemento appena descritto origina da due fattori: l’elezione diretta e la nomina della Giunta in campo al Presidente eletto direttamente. Annotazione questa che promuove una riflessione “in alto” rispetto al premierato e in “basso” rispetto all’evoluzione del meccanismo di elezione diretta dei Sindaci).
Ci troviamo di fronte ad una faglia molto più sottile di quella classicamente rappresentata dalla dazione di tangenti che un tempo confluivano genericamente nello “scambio politico”: un filone del tutto interno al mutamento di indirizzo nella concezione di divisione del potere e di annullamento del confine “storico” tra il pubblico e privato.
L’annullamento della distinzione tra pubblico e privato sembra proprio rappresentare la cifra distintiva di una nuova destra tecnocratica affiancata alla destra populista in modo da formare un blocco storico di una nuova “egemonia degli interessi”.