E perché, spostando le gare di surf a Tahiti, la Francia può continuare a raccontarsi che ospiterà le Olimpiadi più ecologiche di sempre

Luca Pisapia

Surfista a Tahiti (cc) Fabe Collage su Unsplash

Il tardo capitalismo che ci governa, mentre devasta il Pianeta utilizza due noti espedienti per raccontarci quanto è attento all’ambiente. Due false soluzioni che hanno a che fare con la sua profonda struttura. La prima è quindi economica o, come si dice oggi, finanziaria: si comprano e si vendono le emissioni in eccesso e si continua sostanzialmente a inquinare in tranquillità. La seconda ha a che fare con la propaganda e l’ideologia. Sono le pubblicità in cui le maggiori aziende inquinanti si dipingono di verde tra acque cristalline e prati in fiore. Ma ce n’è una terza: scaricare tutto nelle colonie.

Avanguardia di questa terza via non poteva che essere la Francia che, parafrasando Jean-Luc Godard, due o tre cose sulle colonie e sul colonialismo le sa. E così, da una parte la Francia ci racconta che le Olimpiadi di Parigi 2024 saranno le più ecologiche di sempre utilizzando le prime due soluzioni: vende le emissioni in eccesso e si dice da sola che saranno Giochi sostenibili. E dall’altra scarica la devastazione ambientale nelle colonie. E in particolare a Tahiti, nella Polinesia Francese. In mezzo all’Oceano Pacifico, a soli 16mila chilometri dalla capitale del “regno”.

Che fastidio la barriera corallina

È infatti nel paradisiaco e incontaminato villaggio di Teahupo’o che si terranno le gare di surf di Parigi 2024. Ma c’è un piccolo problema. Il posto è assai noto per lo splendore del suo ecosistema, la meraviglia delle sue onde e la pericolosità nel cavalcarle, dato che la barriera corallina è a pochi centimetri dalla superficie dell’acqua. Ma il tardo capitalismo in nome della sostenibilità ha già pronta la soluzione: trapanare la barriera corallina. Per fare così posto alle gare degli atleti, da trasmettere in mondovisione per la gloria del tricolore bianco, rosso e blu

La barriera sarà distrutta anche per installare la torre di alluminio che serve a giudici per dare il voto agli atleti. Non sia mai che la gara non abbia un vincitore, e la competizione un’abbagliante medaglia d’oro. Quindi, oltre alle emissioni degli aerei che da Parigi voleranno per migliaia di chilometri verso Tahiti, delle navi che poi attraccheranno al largo dell’isola per ospitare staff e logistica. Oltre ai rifiuti e alle scorie, nel mare e sull’isola, dove gli abitanti non hanno nessuna voglia di ospitare nessuno, ma essendo una colonia dovranno farlo. Oltre a tutto ciò ecco anche il danneggiamento di uno dei sistemi più importanti per il Pianeta.

Occhio non vede, ecologia non duole

Come raccontano diversi esponenti della locale associazione ambientalista Vai Ara O Teahupo’o, la parziale distruzione della barriera permetterebbe l’ingresso di alghe che diffondono la ciguatera: una tossina assai pericolosa che andrà a infettare il pesce da cui traggono sostentamento gli abitanti dell’isola. La stessa rottura poi cambierebbe anche la morfologia delle correnti, con il rischio non solo di eliminare le onde per cui Tahiti è nota, e per cui è stata scelta per ospitare le Olimpiadi, ma anche di spezzare altre parti della barriera in altri punti.

Un disastro epocale dunque, ma necessario a raccontare che quelli di Parigi 2024 saranno le Olimpiadi più ecologiche e sostenibili di sempre. Perché non ospitare le gare a Biarritz o a Hossegor? Posti noti ai surfisti di tutto il mondo, e soprattutto a poche centinaia di chilometri da Parigi. Perché poi c’è il rischio di mostrare quanto le Olimpiadi siano dannose per l’ambiente. E allora meglio spostare tutto nelle colonie, e devastare un ecosistema distante. L’importante è che l’apocalisse avvenga lontano dagli occhi e lontano dal cuore. Così potremo continuare a raccontarci che sarà tutto bellissimo.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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