Nelle società a capitalismo avanzato, arrivare al potere, assume connotati complessi, confondenti, specie per chi si propone di rimpiazzare la vecchia classe dirigente.
L’alternativa socialista e il riformismo
Qualsiasi gruppo politico ha come fine ultimo la presa del potere.
Questa nelle società a capitalismo avanzato assume connotati complessi, confondenti, specie per chi si propone di prendere il potere per rimpiazzare la vecchia classe dirigente.
Esclusa la via rivoluzionaria, per brevità non argomenterò la cosa, prendiamolo con un dato acquisito: rimane la via riformista.
Il termine riformista è stato snaturato nel linguaggio mediatico-politico, finendo per diventare sinonimo di “moderato”, ma esiste anche un riformismo radicale, anzi forse questo è l’unico che in senso stretto potrebbe esistere.
Applicare delle riforme che sul lungo periodo influenzino così in profondità la società da portarla a cambiare nella struttura.
Un partito di ispirazione socialista potrebbe domani mattina vincere le elezioni, raggiungere il Governo, ma non controllare lo Stato. Non basta il 51% dei voti o in Parlamento per imporre un cambiamento strutturale.
Un processo di questo tipo richiede:
a) Una classe dirigente capace di pianificare;
b) Un progetto politico di lungo corso;
c) Un forte sostegno popolare (e quindi dei media per comunicare);
d) Nei momenti più duri: supporto economico (settore bancario) e militare.
Quindi un progetto politico alternativo, anche blando, richiederebbe una grande capacità di pianificare, fare compromessi, elaborare piani di lungo corso e soprattutto mantenere consensi e posizioni di potere acquisite.
Qui si arriva a due problemi:
1) Chi occupa una posizione di potere -ancor di più se subalterna- per tanto tempo, anche volendo cambiare le cose, può in qualche modo pietrificarsi e quindi finire col diventare un’opposizione da operetta (come accadde al PCI con la sua conversione lenta e inesorabile fino al PD).
2) Il sistema politico ed elettorale nel neoliberismo e nei sistemi post-democratici è pensato per non creare un consenso duraturo. Le informazioni, i personaggi e le idee scorrono velocissimi sui social e sulle tv, la notizia di una settimana fa è già vecchia e il politico non eletto una volta è già considerato come “bruciato”. Tutto corre e tutto perde di significato e diventa facilmente omologabile agli altri.
I cittadini vogliono vedere risultati positivi e subito, misurabili dall’ISTAT, rapidamente, come i dati annuali del PIL o della disoccupazione. Non importa nulla se quei dati derivano dagli anni precedenti, si giudica questo eterno presente.
Questo modo di agire è nemico di ogni cambiamento. Ogni agire politico per sua natura scontenta una parte, è anzi possibile che anche la migliore delle riforme, in un primo momento mostri solo difetti e che solo in un secondo momento, sul lungo periodo possa mostrare i propri effetti sulla società.
Questo è ancor più vero, per un governo che volesse mutare la struttura economica in socialista. In questi termini mantenere il consenso, già distrutto dalla propaganda, è praticamente impossibile.
Questo è il grande dilemma dell’alternativa socialista in Occidente, l’impossibilità di arrivare al potere senza un’azione di forza a cui non è possibile accedere per l’esiguità dei numeri, i quali rendono unicamente praticabile la via riformista che però svuota le reali possibilità di cambiamento impedendo la formazione di un gruppo sociale realmente interessato al mutamento di cui sopra.