Barclays ed Eni accusate di greenwashing © AmandaLewis / IStockPhotos

Barclays ha aiutato Eni a raccogliere fondi legati alla sostenibilità. Ma le ong accusano: è solo greenwashing

Lorenzo Tecleme

Alcune realtà ecologiste europee e britanniche accusano la banca londinese Barclays di aver definito sostenibili alcuni finanziamenti all’azienda energetica italiana Eni che, in realtà, non lo erano. Lo riporta il quotidiano britannico The Guardian. La storia è un caso da manuale di polemiche sulla sostenibilità della finanza.

Barclays ha promesso di mobilitare mille miliardi di dollari in investimenti per la transizione ecologica entro il 2030. Nel conto delle iniziative in essere per raggiungere questo obiettivo rientrano anche alcuni strumenti finanziari pensati per Eni. In particolare, gli attivisti si riferiscono all’emissione di un bond e l’apertura di una linea di credito.

«Raccogliere fondi senza fare sforzi per il clima»

Nonostante entrambe le attività siano presentate come sustainability-linked, ovvero legate alla sostenibilità, niente sulla carta vieterebbe a Eni di usare quei soldi nel settore dell’energia fossile. E Eni è attualmente impegnata nell’espansione del suo portfolio vecchio stile. La società italiana mira infatti a implementare la sua produzione di petrolio e gas fino al 17% da qui al 2026. Per le ong che hanno sollevato il caso, insomma, si tratta di un evidente esempio di greenwashing – l’insieme di pratiche volte a presentare come ecologici aziende o investimenti che ecologici non sono. 

«Si tratta di un modo semplice per Eni di raccogliere fondi senza dover fare uno sforzo significativo per il clima. O cambiare qualcosa della sua attività. Inoltre, permette alle banche che si sono impegnate per il net zero di continuare a finanziare i peggiori nemici del clima, fingendo di sostenere la loro transizione», commenta Lucie Pinson, direttrice dell’ong Reclaim Finance.

«La decisione di Barclays di fornire miliardi di finanziamenti a Eni – una società che continua a sviluppare nuovo petrolio e gas – favorisce l’espansione dei combustibili fossili. E contraddice le sue affermazioni in materia di sostenibilità» fa eco Huw Davies, senior finance adviser dell’organizzazione specializzata Make My Money Matter.

La difesa di Eni e Barclays, e le risposte degli ecologisti

Barclays spiega nelle sue comunicazioni che la sostenibilità degli strumenti finanziari pensati per Eni sta nel calcolo degli interessi. La loro entità, infatti, è legata a obiettivi di riduzione delle emissioni – rendendo così conveniente per Eni investire quei soldi in attività a basso impatto. Ma la risposta non convince le ong. Per comprendere il perché è necessario addentrarsi nel gergo tecnico della transizione.

Le emissioni prese in esame sono infatti solo quelle che rientrano nelle categorie Scope 1 e Scope 2. Questi termini indicano le emissioni prodotte direttamente dall’azienda o legate all’energia usata nelle attività. Ma il grosso dei gas climalteranti prodotti da Eni sta nella terza categoria, Scope 3. Si tratta delle emissioni indirette, ovvero generate una volta che il prodotto dell’azienda – in questo caso gas e petrolio – è usato da chi lo ha acquistato. E le emissioni Scope 3 non sono prese in considerazione da Barclays nel calcolo degli interessi.


Per questo gli attivisti considerano blandi fuorvianti gli impegni della banca. «Per vedere una struttura di sostenibilità davvero efficace nel settore petrolifero e del gas, bisognerebbe vedere un’azienda con un piano chiaro e impegnato per ridurre le emissioni Scope 3» ha spiegato al Guardian il ricercatore Jo Richardson.

Energia e finanza: impegni non mantenuti

Lo iato tra le promesse del mondo corporate e la realtà dei fatti è oggetto di dibattito sia per il settore energetico sia nella finanza. Oltre ai mille miliardi in transizione promessi entro il 2030, Barclays ha annunciato che non concederà più finanziamenti diretti a petrolio, gas e carbone. Ma questo non impedisce alla banca britannica di intrattenere relazioni con aziende dell’oil&gas con formule come quelle descritte sopra. Il rispettato report Banking on Climate Chaos piazza Barclays all’ottavo posto nella classifica delle sessanta grandi banche che più hanno investito sul fossile dal 2016 ad oggi.

Non va molto meglio a Eni. Nonostante la promessa di raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050, l’azienda milanese continua ad investire in nuovi progetti dall’altissimo impatto climatico. Secondo il report Big Oil Reality Check dell’ong Oil Change International, le scelte di Eni non sono in linea col rispetto degli Accordi di Parigi. Cioè la più importante intesa globale contro il riscaldamento globale. La produzione fossile di Eni al 2030 è prevista essere del 35% maggiore rispetto a quanto richiesto dall’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) per il mantenimento degli obiettivi climatici.

Le accuse delle ong a Eni e Barclays arrivano in un momento critico della crisi climatica. Ben 150 persone sono morte tra aprile e maggio in una delle più gravi alluvioni della storia brasiliana. Altre 300 (ma i numeri reali potrebbero essere molto più alti, spiegano le Nazioni Unite) hanno perso la vita per lo stesso tipo di fenomeno in Afghanistan. Nell’insieme, il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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