Dopo sei anni e mezzo come primo ministro, Katrín Jakobsdóttir ha rinunciato al ruolo per correre alla presidenza, ma la conservatrice Halla Tómasdóttir ha vinto le elezioni, diventando la seconda presidente donna dell’Islanda. Nel frattempo, il discusso Bjarni Benediktsson ha assunto l’incarico di primo ministro.

Dopo sei anni e mezzo alla guida del governo, Katrín Jakobsdóttir, leader del Movimento Rosso-Verde (Vinstrihreyfingin – grænt framboð), di orientamento ecosocialista ed euroscettico, ha deciso di rinunciare al ruolo di primo ministro al fine di correre per la presidenza. Puntando sulla popolarità raggiunta come capo dell’esecutivo, Jakobsdóttir pensava forse di poter diventare facilmente la seconda presidente donna nella storia dell’isola, al termine del secondo mandato del presidente uscente Guðni Jóhannesson.

Jakobsdóttir, come detto, proviene da un background politico contrario all’ingresso dell’Islanda nell’Unione Europea, e non ha mai fatto mancare le critiche nei confronti della NATO, di cui pure il Paese fa parte. Sulla carta, il Movimento Rosso-Verde sarebbe favorevole all’uscita dell’Islanda dall’Alleanza Atlantica, ma Jakobsdóttir ha dovuto promettere di non dare il via all’iter per la denuncia del trattato al fine di formare un’inedita coalizione di governo con i conservatori del Partito dell’Indipendenza (Sjálfstæðisflokkurinn), all’interno di un esecutivo che comprende anche il Partito Progressista (Framsóknarflokkurinn). Allo stesso tempo, i conservatori hanno rinunciato, su spinta dei due partiti euroscettici, ad indire un referendum per riprendere l’iter di adesione all’Unione Europea.

Questa coalizione ha permesso a Jakobsdóttir di governare ininterrottamente dal novembre del 2017, riuscendo a portare avanti alcune riforme importanti come quella fiscale, rendendo il sistema più progressivo, aumentando gli investimenti in alloggi popolari e allungando i tempi dei congedi di maternità e paternità. Jakobsdóttir ha anche dato rilievo alle questioni di genere, ed ha sostenuto diversi scioperi avvenuti nel Paese nel corso dei suoi due mandati.

Alle elezioni presidenziali, Jakobsdóttir ha dovuto sfidare altre due donne, Halla Tómasdóttir (in foto) e Halla Hrund Logadóttir. Sulla carta indipendente, la 55enne imprenditrice Tómasdóttir ha in realtà un passato politico all’interno del Partito dell’Indipendenza, ed aveva partecipato alle elezioni presidenziali già nel 2016, venendo sconfitta da Jóhannesson. Logadóttir si è invece presentata alle elezioni senza un’esperienza politica di rilievo, puntando soprattutto sulle sue cariche accademiche, essendo una professoressa dell’Università di Harvard, negli Stati Uniti.

L’esito delle elezioni del 1º giugno ha visto la vittoria della conservatrice Halla Tómasdóttir con il 34,15% delle preferenze, precedendo l’ormai ex primo ministro Jakobsdóttir (25,19%) e la terza incomoda Logadóttir (15,68%). Poiché la legge elettorale islandese non prevede un secondo turno, questo significa che Tómasdóttir, nota anche per i suoi legami imprenditoriali con il magnate britannico Richard Branson, diventerà ufficialmente la seconda presidente donna del Paese a partire dal 1º agosto. In questo, fu infatti preceduta da Vigdís Finnbogadóttir, che nel 1980 divenne la prima presidente donna democraticamente eletta in qualsiasi Paese del mondo.

Sebbene il presidente islandese abbia una posizione in gran parte cerimoniale nella repubblica parlamentare, agendo come garante della costituzione e dell’unità nazionale, il capo dello Stato gode comunque del potere di veto sulla legislazione, nonché della prerogativa di sottoporla a referendum.

Allo stesso tempo, dopo le dimissioni di Jakobsdóttir, i conservatori del Partito dell’Indipendenza hanno preso anche le redini del governo, visto che la carica di primo ministro è finita nelle mani di Bjarni Benediktsson, un politico esperto, che ricoprì questo incarico per alcuni mesi già nel 2017. ministro delle Finanze e degli Affari Economici e poi ministro degli Esteri sotto la guida di Jakobsdóttir, Benediktsson resta fortemente allineato alla politica atlantista, come dimostrano alcuni episodi avvenuti nel corso del suo incarico come capo della diplomazia islandese.

Ad esempio, nel novembre dello scorso anno, Benediktsson si è pubblicamente rifiutato di condannare il bombardamento del campo profughi di Jabalia da parte di Israele, nell’ambito del genocidio del popolo palestinese in corso a Gaza. Il nuovo primo ministro islandese ha anche altre macchie nel suo passato, visto che il suo nome era stato coinvolto nello scandalo dei Panama Papers, mentre nel 2020 era stato sorpreso ad infrangere le regole di distanziamento sociale contro il Covid-19 imposte dal governo di cui egli stesso era membro.

Secondo la stessa stampa islandese, il nuovo primo ministro gode di un consenso minimo tra la popolazione dell’isola, con solamente il 13% degli elettori che afferma di sostenere Bjarni Benediktsson, secondo un sondaggio effettuato da Prósent. Oltre 41.000 persone, pari a circa il 15% degli elettori dell’isola, hanno firmato una petizione online per chiedere le dimissioni del primo ministro, che tuttavia ha superato un voto di sfiducia in parlamento, ottenendo 35 voti favorevoli e 25 contrari.

Il bilancio degli ultimi avvenimenti della politica islandese ci dice dunque che la decisione di Jakobsdóttir di dimettersi dal ruolo di primo ministro per partecipare alle elezioni presidenziali ha aperto la strada delle due principali cariche del Paese ai conservatori euro-atlantisti, sebbene sia rimasta invariata la composizione dei tre partiti che partecipano al governo. Nonostante i successi ottenuti durante il suo mandato, Jakobsdóttir non è riuscita a diventare la seconda presidente donna dell’Islanda, ed ha già annunciato che non intende concorrere nuovamente per la presidenza, preconizzando forse la fine della sua carriera politica. Allo stesso tempo, resta da vedere come il nuovo primo ministro Benediktsson affronterà le sfide future e se riuscirà a guadagnare la fiducia di una popolazione che lo avversa, mentre la nuova presidente Tómasdóttir dovrà dare seguito alle promesse di neutralità fatte in campagna elettorale.

CLICCA QUI PER LA PAGINA FACEBOOK

Giulio Chinappi – World Politics Blog

Di Giulio Chinappi - World Politics Blog

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo libro, “Educazione e socializzzione dei bambini in Vietnam”, Paese nel quale risiede tuttora. Nel suo blog World Politics Blog si occupa di notizie, informazioni e approfondimenti di politica internazionale e geopolitica.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy