Enrico Grazzini

L’Unione Europea si sta sgretolando. Le ultime elezioni per il Parlamento europeo hanno dimostrato che forze politiche di destra e estrema destra antieuropee stanno crescendo in tutta Europa, e soprattutto nei due paesi guida dell’Unione Europea, la Francia e la Germania. Siamo di fronte alla fine di una grande illusione propagandata dalle ristrette elite del potere e promossa soprattutto dalla “sinistra europeista”: l’illusione che questa UE possa unire i paesi europei e portare alla formazione della federazione degli Stati Uniti d’Europa, di un superStato democratico che raccolga tutti i popoli europei. Al contrario: questa UE può rovinarci addosso e dividere definitivamente i paesi europei. L’Unione Europea è sempre stata una creatura molto fragile: attualmente il nuovo punto di possibile rottura è la Francia. La destra del Rassemblement National potrebbe andare al governo e avviare un programma economico e politico espansivo finanziato con debito pubblico e contrastante con quello europeo. Anche la sinistra del Nouveau Front Populaire potrebbe vincere la competizione elettorale e avviare un programma a favore dei lavoratori, del ceto medio e dell’economia nazionale non compatibile con quello imposto dalla UE e dai mercati. A quel punto, i mercati finanziari potrebbero entrare in ebollizione, potrebbero ritirare il loro consenso all’euro e tutta la situazione valutaria e finanziaria europea potrebbe diventare incerta con sbocchi imprevedibili. Come ha affermato poco tempo fa il presidente Emmanuel Macron “L’Europa può morire”. Le istituzioni europee non sono eterne e tutta la rigida e inflessibile sovrastruttura europea prima o poi potrebbe crollare. Diventa dunque assolutamente indispensabile che la sinistra progressista, che finora ha appoggiato fideisticamente questa Unione dominata dai mercati e dalla finanza, ricominci a pensare criticamente la UE, si risvegli dai suoi sogni illusori e pensi a come affrontare la crisi con proposte alternative credibili.

Il problema è che questa UE funziona al contrario di quello che tutti speravano: l’Europa che ci hanno venduto è l’Europa della modernità, l’Europa delle libertà, della democrazia e della giustizia sociale, della pace, del welfare, l’Europa dell’emancipazione femminile, dei diritti civili, politici e sociali, della lotta al cambiamento climatico, della solidarietà tra le nazioni e dei popoli e del superamento delle frontiere. Molti hanno sperato in una Europa giusta e portatrice di pace. Ma le promesse sono state tradite e non è sempre vero che l’unione faccia la forza.

Il successo delle destre europee alle recenti elezioni del Parlamento Europeo mette a nudo l’assoluta schizofrenia della UE: brama la pace ma fa la guerra, vuole lo sviluppo economico ma impone l’austerità, è per la democrazia ma non è democratica, punta al Green New Deal ma spende per armarsi, mira all’autonomia strategica ma insegue l’America, vuole l’integrazione ma respinge gli immigrati. Ci sono quindi due Europa: l’Europa ideale, propagandata dai mass media, e quella reale, ben più triste e deludente. L’Europa dell’euro dopo 30 anni dalla firma dell’infausto Trattato di Maastricht (1992) non ha portato benessere, anzi ha portato debito e crisi, non ha procurato più democrazia ma più pericoli autoritari, ha prodotto crescenti diseguaglianze e crepe tra le nazioni europee. Gli immigrati muoiono a migliaia alle frontiere della “libera” Europa senza che questa UE voglia affrontare il problema strutturale dell’emigrazione di milioni di persone, emigrazione causata tra l’altro dalle guerre che la UE ha sostenuto e promosso in Libia, in Siria e altrove. L’immigrazione di massa non regolamentata viene usata per abbassare i salari e come strumento di ricatto e di crumiraggio verso i lavoratori europei meno qualificati.

Nonostante i fallimenti della UE, le forze politiche (e gli intellettuali) di centro e soprattutto quelle progressiste e di sinistra hanno fin dall’inizio promosso a pieni voti questa Unione ispirate all’ideale utopico e anti-fascista di Rodolfo Spinelli degli Stati Uniti d’Europa, di una Europa federata e sovranazionale, democratica e socialista. Ma la storia è proceduta in direzione diametralmente opposta a quella desiderata.

Il problema basilare di questa Unione è politico: non c’è infatti nessuna democrazia nella UE. Non esiste nel sistema istituzionale dell’Unione neppure la classica divisione tra il potere legislativo, esecutivo e giudiziario che rappresenta la caratteristica basilare delle democrazie liberali. L’architettura non democratica dell’Unione Europea, le sue politiche di austerità, la moneta unica per 20 paesi molto diversi tra loro, le politiche di deregolamentazione del mercato dei capitali e del lavoro, hanno provocato l’ormai evidente la decadenza complessiva del vecchio continente. In un certo senso l’Unione Europea ha suicidato l’Europa, l’ha costretta alla decadenza.

Occorre innanzitutto riconoscere che l’Unione Europea, in quanto istituzione intergovernativa, non è e non può essere democratica. Come ha affermato il vice-presidente della Convenzione europea Giuliano Amato “Montesquieu non è conosciuto a Bruxelles”[1]. Il principio basilare della democrazia liberale e dello Stato di diritto, quello della separazione dei poteri enunciato da Montesquieu non viene applicato nell’Unione europea. Si ironizza sul fatto che l’UE non potrebbe entrare nella UE poiché non rispetta i criteri minimi di democraticità – quali lo Stato di diritto – richiesti ai paesi candidati all’adesione. Il paradosso è che 27 Stati (bene o male) democratici e oltre 450 milioni di europei sono diretti da oltre 20 anni da istituzioni senza alcun dubbio non democratiche, istituzioni create e nominate dai governi, ovvero non elette e non soggette a controllo democratico da parte dei cittadini europei, irresponsabili di fronte ai popoli europei. Solo grazie alla non democrazia della UE è stato impossibile imporre delle dure e controproducenti politiche di austerità (blocco della spesa pubblica, aumento delle tasse, diminuzione del costo del lavoro e dei salari, svalutazione del capitale nazionale) agli Stati e ai popoli europei, come è accaduto non solo in Grecia ma a tutta l’area dei paesi cosiddetti “periferici” o “maiali (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna, PIGS).

E’ sorprendente ma molto raramente le grandi personalità politiche e intellettuali hanno denunciato la mancanza pressoché assoluta di democrazia delle istituzioni che guidano le democrazie europee. In Europa comandano solo i vertici governativi. Il Consiglio Europeo, l’organo di gran lunga decisivo nella UE, è composto dai capi di governo eletti nei loro paesi ma non dai cittadini europei. Il Parlamento Europeo è eletto ma solo su base nazionale e ha poteri molto limitati: può approvare e rifiutare le leggi solo su alcune materie. La Commissione ha un ruolo esecutivo ma anche parzialmente legislativo e ha addirittura in parte poteri giudiziari. La UE non ha dunque un governo democratico ma una governance multilivello. In pratica i popoli europei sono diretti da organismi che pretendono di essere sovranazionali – cioè al di sopra degli Stati nazionali – ma in cui esiste una sorta di gerarchia di Stati – quelli centrali e quelli invece periferici – con il vertice presieduto dagli Stati nazionali più forti: in particolare, come noto, la UE è diretta dalla diarchia Germania e Francia. Una diarchia per altro attualmente in grave crisi e in via di disfacimento.

La UE è stata criticata per il deficit di democrazia: il problema però è che queste istituzioni lasciano mano completamente libera al potere dei mercati mentre al contrario limitano fortemente il potere degli Stati democratici. I mercati e gli investitori finanziari sono i veri dominatori di questa Unione europea. Non occorre essere cultori ortodossi del pensiero marxista-leninista per comprendere che le istituzioni UE sono quanto di più assomiglia al “gabinetto d’affari della borghesia” con cui Karl Marx designava efficacemente i governi del suo tempo, quando ancora non esisteva il suffragio universale. Occorre aggiungere un altro abominio quasi sempre ignorato e oscurato dalle elites governative e dai media: sul piano giuridico il diritto della UE, proveniente da organismi intergovernativi come la stessa Corte di Giustizia Europea, prevale automaticamente sulle leggi e addirittura sulle Costituzioni dei paesi membri. E questa è una offesa sostanziale alla democrazia, cioè al potere dei cittadini che pagano le tasse nei loro Stati di decidere democraticamente le proprie leggi (no taxation without representation)[2].

Il Trattato di Maastricht che ha fondato questa UE intergovernativa definisce anche e soprattutto le regole di funzionamento del sistema economico della UE e del sistema monetario europeo, basato su una unica banca centrale, una unica moneta e una unica politica monetaria per 20 diversi paesi europei. Come noto Maastricht si fonda sulle quattro libertà: libertà di movimento delle merci, delle persone, dei capitali e dei servizi. L’ideologia ultraliberista di Maastricht – che discende esplicitamente da quella di Reagan e della Thatcher – esalta la libertà di mercato – mercato finanziario e mercato del lavoro – e limita e proibisce (salvo eccezioni) l’intervento pubblico nell’economia, considerato distorsivo e inefficiente. L’austerità fiscale ha depresso l’economia e il potere d’acquisto dei salariati. Il dominio dei mercati finanziari sugli Stati ha comportato l’impoverimento di milioni di cittadini, la divisione degli Stati tra creditori e debitori, l’incremento delle diseguaglianze sociali e territoriali, e costanti e gravi crisi finanziarie. L’Europa si sta deindustrializzando e è sempre meno competitiva. Le politiche monetarie vengono decise dai tecnocrati della Banca Centrale Europea in un contesto di assoluta indipendenza, e quindi di irresponsabilità di fronte ai cittadini europei. Le politiche fiscali sono formalmente gestite in autonomia e indipendenza dai governi nazionali ma in realtà devono rispettare le regole fortemente restrittive della UE: i bilanci degli Stati devono essere approvati dalla Commissione Europea prima ancora che dai Parlamenti nazionali. Questo è un soffocamento sistematico della democrazia. Inoltre in tutta Europa sono impossibili politiche fiscali comuni dal momento che esistono paradisi fiscali europei come il Lussemburgo, l’Irlanda, l’Olanda, Malta, Cipro. Il risultato finale è che l’Europa è a livello globale l’area economica che cresce di meno e che è costantemente soggetta a nuove gravi crisi.

A livello geopolitico, come ha dimostrato chiaramente la guerra in Ucraina, la UE è praticamente inesistente, sia sul piano diplomatico che militare. Non essendoci una politica estera comune tra i 20 paesi europei (e neppure tra Francia e Germania) la UE di fatto è diventata una fotocopia sbiadita della Nato a guida americana. Una guida che è anch’essa fortemente in crisi, come dimostra lo scontro tra il presidente attuale Joe Biden e l’ex, e forse futuro, presidente Donald Trump. L’Europa è diventata il braccio disarmato della Nato. Nella sua politica estera dipende dall’amministrazione americana, sia essa quella di Biden o magari quella di Trump. Non potendo l’Europa garantire autonomamente i suoi interessi strategici ma dipendendo da potenze estere, le prospettive dei popoli europei non possono che essere drammatiche o anche tragiche.

Quale è stato l’errore di fondo della costruzione europea? Gli errori sono molteplici. Innanzitutto l’errore è credere che l’integrazione dei mercati e la libertà di mercato sancita da Maastricht uniscano i popoli: al contrario li dividono e li gettano nell’incertezza. Sul piano istituzionale è stato un colossale errore pretendere che sia sufficiente costruire delle istituzioni centralizzate per gestire delle politiche comuni efficaci in tutto il continente. Politiche monetarie e fiscali uniche e centralizzate per 20 paesi molto diversi tra loro sono destinate a fare male a tutti.

Ma l’errore di fondo è quello di avere costruito una sovrastruttura sovranazionale scavalcando le democrazie nazionali. In realtà la UE non è frutto di un semplice errore culturale e politico: è invece il prodotto degli interessi e delle aspirazioni delle multinazionali e della finanza internazionale che hanno voluto scavalcare le democrazie nazionali creando una sovrastruttura sovranazionale impermeabile ai conflitti sociali e in grado di sovrastare gli Stati nazionali: questi infatti erano e sono le principali istituzioni in grado (se lo vogliono) di esercitare il loro potere per regolamentare i movimenti di capitale e il business finanziario e industriale. Con la UE gli Stati nazionali si sono impoveriti ma la finanza è prosperata.

L’ideologia che ha sostenuto e coperto la sovrastruttura europea la UE è stata quella di puntare a costruire gli Stati Uniti d’Europa sul modello della federazione americana. L’utopia federativa di Spinelli è però un sogno impossibile. L’Europa non è una prateria verde da conquistare e coltivare da zero. Gli Stati europei hanno storie, economie e istituzioni anche secolari che non si possono ignorare e cancellare; hanno memorie, lingue e culture diverse e interessi strategici differenti. Centralizzare tutto – politica e economia – nelle istituzioni pseudo federali di Bruxelles e Francoforte sovrapponendosi alle democrazie europee con l’obiettivo (o il pretesto) di arrivare agli Stati Uniti d’Europa è stata un’impresa velleitaria e antidemocratica. Ovviamente gli Stati nazionali, sia quelli più grandi che quelli più piccoli, non si faranno mai dettare legge da un superStato federato. Non a caso i processi crescenti di centralizzazione europea e i programmi di austerità hanno alimentato per reazione uguale e contraria le destre più estreme e gli ultranazionalismi xenofobi e fascistoidi.

La sinistra europea e italiana hanno coltivato troppe illusioni su questa UE. La sinistra e l’Unione Europea hanno una vita in comune quasi simbiotica: il destino dell’una è legato a quella dell’altra. Non a caso sia la sinistra europeista che la UE sono in declino, se non in agonia. Ambedue non sanno più dove stanno andando, sono in crisi e si stanno apparentemente suicidando. E’ ormai evidente che l’europeismo cieco e dogmatico della sinistra europea è stato e è tuttora la maggiore causa del declino della sinistra stessa. E’ praticamente impossibile che con la crescita della destra nazionalistica l’Unione migliori: ne consegue che se la sinistra europea non prende nettamente le distanze da questa UE corre il rischio di scomparire definitivamente.

Al di là delle retoriche idealiste su Ventotene, in realtà l’europeismo dopo che è caduta l’Unione Sovietica è stata la chiave di volta delle sinistre europee, liberali, socialiste e comuniste, per entrare nelle stanze del potere e omologarsi all’establishment, soprattutto finanziario. Con la UE la sinistra tradizionale è diventata uno dei “poteri forti”. Al contrario le destre nazionaliste sono rimaste a margine. E quindi hanno potuto opporsi all’austerità e all’euro, che hanno rovinato l’economia europea e che hanno anche pesato soprattutto sulle classi popolari, sui giovani e le donne.

Così paradossalmente il gioco delle parti si è rovesciato: la destra combatte demagogicamente l’austerità mentre la sinistra la giustifica per traguardare l’obiettivo fantasmagorico degli Stati Uniti d’Europa; la destra denuncia la grande finanza e la sinistra collude con le banche; la destra contrasta l’euro e la Banca Centrale Europea – che ha sempre salvato le banche e la grande finanza senza però salvare l’economia produttiva e il lavoro – mentre la sinistra al contrario difende i grandi banchieri e i tecnocrati come Mario Draghi e Enrico Letta; la destra difende gli interessi nazionali e la sinistra invece difende l’Europa sovranazionale e tace sul  globalismo speculativo e parassitario della grande finanza; la destra difende lo Stato nazionale e l’intervento pubblico nell’economia mentre la sinistra combatte “il nazionalismo economico”. La destra, spesso condizionata dal dittatore russo, vuole i negoziati e “una pace possibile” in Ucraina mentre la sinistra, d’accordo con Washington, vota al contrario le armi e l’escalation.

Diventa allora evidente perché la destra avanza in tutta Europa: la destra più o meno fascistoide appare incredibilmente come il difensore della pace e dei popoli oppressi dalla “dittatura” di Bruxelles, mentre la sinistra è manifestamente collusa con l’establishment politico e la grande tecnocrazia d’Europa. Non ci si può stupire che la destra abbia conquistato voti e consenso popolare, mentre le sinistra non sa più dove vuole veramente andare.

Per “riparare” questa Unione Europea impotente e inefficiente i grandi politici e tecnici europei propongono montagne di belle riforme. I maggiori riformatori europei, come il presidente francese Emmanuel Macron, Mario Draghi e Enrico Letta, propongono una fiscalità comune, la mutualizzazione dei debiti, un mercato finanziario unico e fondi di centinaia di miliardi per realizzare i “beni comuni europei”[3]. Ma nessun Stato ricco acconsentirà mai a mettere in comune finanze e debiti, ovvero a rischiare di pagare i debiti altrui. Le litanie sulla solidarietà finanziaria e politica rimarranno inutili. La sinistra europea si illude ancora di potere riformare la UE di Maastricht: ma questa UE è irriformabile. Occorre in qualche modo rompere con Maastricht. 

La UE sembra una nave senza timone in un mare in tempesta; una sorta di vaso di coccio tra la Russia di Putin e l’America di Biden e, probabilmente nel prossimo futuro, di Trump. Donald Trump disprezza la UE e la reputa come un concorrente possibilmente da schiacciare; e considera la Nato come un esercito americano che deve essere pagato dagli europei. La situazione dell’Europa è densa di incognite e di minacce.

La soluzione più realistica non può che essere politica e radicale. Per uscire dalla crisi occorre ripudiare Maastricht e rivoluzionare dalle fondamenta il sistema europeo. Occorre cominciare a concepire un nuovo modello alternativo di cooperazione per uno sviluppo socialmente equo e ecologicamente sostenibile. Bisognerebbe costruire una nuova Europa anti-fascista, una Confederazione che unisca per quanto possibile gli Stati europei su obiettivi comuni ma che non sovrasti i paesi europei e che, anzi, sia fondata sul rispetto delle democrazie nazionali.

Occorrono soluzioni radicalmente innovative: per esempio bisognerebbe cancellare i debiti in pancia alla BCE[4] e realizzare una moneta comune che sostituisca l’attuale moneta unica[5]. Soprattutto occorre arrivare quanto prima a bloccare l’escalation bellica in Ucraina. Bisogna arrivare al negoziato con il nemico senza pensare di potere ignorare stupidamente i rapporti di forza che si sono creati sul terreno. Chi vuole misconoscere la realtà dei fatti solo perché questa realtà non gli piace è destinato a subire eventi ancora più disastrosi. Le illusioni e i velleitarismi non sono giustificabili in un contesto di guerra.

L’articolo 11 della Costituzione italiana afferma che le controversie internazionali non devono essere risolte con la guerra ma con le negoziazioni e la diplomazia. L’Europa attualmente sembra correre verso la guerra senza essere in grado di affrontarla e senza neppure preparare le condizioni della pace. Una Europa impotente che non cerca la pace e non si basa sulla democrazia non solo è inutile, è anche molto dannosa. 


[1]     Giuliano Amato nel suo intervento come Vice-Presidente della Convenzione europea, 28 febbraio 2002

[2]     Enrico Grazzini   “Il diritto della UE prevale sulle leggi e sulle Costituzioni degli Stati Europei: un colpo di Stato?” La Fionda 8 giugno 2024

[3]     ENRICO GRAZZINI  “Macron, Draghi, Letta e il fallimento dell’Ue”    Micromega Plus, 10 Maggio 2024

[4]     Avvenire, L’appello. «La Bce cancelli i debiti degli Stati»  5 febbraio 2021

[5]     Enrico Grazzini   “Gli scenari dell’euro” Economia e Politica, 11 Gennaio 2014

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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