L’informazione ampiamente condivisa tra televisioni, giornali, quotidiani internettiani e tanta disinformazione social ci costringe a fissare l’attenzione sull’evento del momento e, di conseguenza, a trascurare quelle che sarebbero anche le notizie drammatiche del giorno, di tanti drammi sparsi per il mondo, ma che subiscono una retrocessione nella classifica dell’importanza mediatica, dell’attrazione dell’attenzione del vasto pubblico.

Si tratta, con una certa dose di obiettività, di un processo non evitabile che, per l’appunto, tocca subire visto che, al pari di un evento catastrofico naturale, ci si trova pienamente immersi in esso e non se ne sfugge. Così, da almeno un mese – ma forse anche di più (si perde anche la cognizione delle settimane che passano nell’avvicendarsi degli eventi) – dopo la questione delle elezioni europee, a tenere banco è stata quella delle legislative francesi.

Nessuno fa eccezione, perché un po’ tutti abbiamo tralasciato di concentrarci sulle guerre tutt’ora in corso. Ora, siccome a Gaza e in Ucraina qualche massacro in più della terribile quotidianità in cui vivono i civili in quelle terre è stato perpetrato proprio in queste ore, e siccome le elezioni francesi sono trascorse, e così i commenti e le analisi a caldo, forse si può provare a cercare qualche notizia per disinformarci al meglio su quello che avviene tanto nell’Est europeo quanto nella Striscia di Gaza.

Comunque sia, di trattative e di pace non parla praticamente nessuno. E non si tratta delle testate giornalistiche, ma dei governi che si ritrovano a Washington al “vertice globale” dell’Alleanza atlantica proprio per discutere del rapporto tra politica e guerra, non certo tra politica e diplomazia. La NATO festeggia l’attempata età con settantacinque candeline sulla torta imperialista su cui è disegnato un mondo ormai multipolare, dove BRICS ed alleati sono la spina nel fianco dell’ex unipolaristico asse euro-americano.

C’è chi afferma, forse un po’ maliziosamente, ma certamente non molto lontano dal vero, che le giornate del vertice saranno un ulteriore banco di prova per la stabilità del presidente Biden, la cui sorte politica fa necessariamente il paio con le intenzioni future sulle scelte proprio riguardanti l’ingresso o meno, tra l’altro dell’Ucraina nella NATO. Che Kiev possa avere un lasciapassare in questa direzione, viste le tante divisioni all’interno dell’Alleanza, pare piuttosto improbabile.

Come già ribadito altre volte, e da un numero di commentatori molto ampio e trasversale, ciò significherebbe passare dalla guerra per procura alla vera e propria guerra tra il blocco occidentale e la Russia, visto che si attiverebbe l’articolo cinque del famigerato trattato di difesa, per cui le nazioni aderenti «concordano che un attacco armato contro una o più di esse, in Europa o in Nord America, sarà considerato un attacco contro tutte».

Obiettivi dell’Alleanza atlantica, in questo suo settantacinquesimo genetliaco, sono anzitutto l’espansione verso l’Est europeo, praticamente completata, fatta eccezione per l’Ucraina e per alcuni Stati caucasici, ed il nuovo (si fa per dire) fronte asiatico in cui fermentano le mosse e le contromosse di una attività di reciproco scrutamento delle posizioni geopolitiche, passando per gli interessi ovviamente finanziari ed economici su una più vasta scala globale.

La guerra di Gaza non è, come si potrebbe immaginare, di secondario rilievo per le potenze che fanno parte della NATO e, tuttavia, rimane, sotto un punto di osservazione prettamente a stelle e strisce (molto meno europeo…), un conflitto periferico: molto di più quello che noi, che viviamo al di qua dell’Asia e dell’Asia Minore, potremmo considerare se facciamo riferimento al risiko in atto intorno a Taiwan o alle provocazioni coreane dall’una e dall’altra parte.

I partner dell’Indo-Pacifico sono, quindi, altrettanto importanti per l’Alleanza (e per gli Stati Uniti d’America), così come lo sono stati e lo sono quelli europei. Così come lo rimane la Turchia che, per quanto concerne la guerra contro Gaza, è schierata non solo con i palestinesi ma, nello specifico, con Hamas. Il ginepraio mediorientale è una di quelle grandi, tragiche epopee che non hanno soluzione se non una immaginaria tabula rasa di tutto ciò che oppone i governi che, a loro volta, hanno creato dei popoli nemici di altri popoli.

La corsa al riarmo è stata protagonista del vertice di Washington. Nonostante la claudicanza mentale e posturale di Biden non facesse sperare bene i trentotto paesi presenti, è bastata la voce di Jens Stoltenberg per rassicurare un po’ tutti: tonante è suonato l’auspicio (quindi l’esplicita imposizione a qualunque amministrazione venga dopo quella attuale) che gli USA restino dei partner privilegiatissimi dell’Alleanza.

Speciali, tanto quanto lo è il contributo che essi danno agli obiettivi che perseguono unitamente a quella che ancora qualcuno pensa di poter chiamare “alleanza difensiva“. L’invasione russa degli oblast ucraini sarà un giorno considerata dagli storici come una risposta anche all’espansionismo della NATO verso est. È abbastanza evidente che lo scontro si gioca tra opposti imperialismi che pretendono, dai loro punti di vista politici, mediante le loro economie e finanze e la loro potenza militare, di dominare unilateralmente il pianeta.

Quanto meno di riportare in auge un vecchio dualismo tra est ed ovest, tra Oriente ed Occidente, che era andato in pensione dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine della cosiddetta “Guerra fredda“. I nuovi progetti militari che la NATO intende portare avanti, contrariamente a quanto auspicato da papa Francesco in una perorazione rivolta ai capi di Stato e che rimarrà praticamente lettera morta dopo essere stata comunque ascoltata per cortesia istituzionale, includono lo sviluppo di tecnologie belliche frutto di intelligenze artificiali complicatissime.

Macchinari e strumentazioni capaci di devastanti deflagrazioni al netto di un minimo assoluto di perdite fra le proprie truppe. Inutile dire che i costi del riarmo saliranno per tutti i paesi coinvolti nel piano del 2% del PIL da devolvere alla bellicosità nordatlantica. Un programma sposato di tutto punto dal patriottico governo meloniano che, suggerisce qualche malevola velina di palazzo (o di vertice transatlantico…), è pronto a destinare un altro miliardo di euro in questa direzione.

Invece di coprire spese necessarie al contenimento dell’indigenza crescente, al neopauperismo che imperversa, alla mancanza di strutture ospedaliere, di macchinari e attrezzature mediche, di implementare la qualità (oggi scadente) di una scuola della Repubblica sempre meno pubblica e sempre più uniformata al modello dell’alternanza con un lavoro che rende poveri o, nel peggiore dei casi, uccide, il governo pensa a riarmare l’Italia in funzione di alleato acquiescente ma – si badi bene – sempre in “funzione difensiva” per lo sforzo resistente ucraino.

Poi, è vero pure questo, ogni governo la difesa se la immagina e se la gestisce un po’ a suo piacere: ad esempio i polacchi pensano già di sostenere Kiev abbattendo direttamente loro i missili russi che fanno stragi di civili e di bambini negli ospedali della capitale. Crimini di una guerra che tutti vogliono far finire. Ma ognuno con la propria vittoria. Nessuno, almeno al momento, sedendosi ad un tavolo di trattative per vedere se è possibile uscirne senza ulteriori danni.

La linea della NATO rimane, soprattutto al vertice di Washington, quella del sostegno incondizionato a Volodymyr Oleksandrovyč Zelens’kyj e al suo governo, affinché possa l’Ucraina vincere il conflitto e cacciare i russi da tutti i territori occupati (per Putin, invece, ovviamente “liberati“). Così stando le cose, l’aumento del costo bellico, in termini materialmente economici e praticamente umani, sarà esponenziale e lascia presagire una durata della guerra ancora più lunga di quella che ci attendevamo soltanto sei o sette mesi fa.

Il conflitto di Gaza rimane sullo sfondo di crisi internazionale declinata sul piano regionale. Israele distrugge, proprio come i russi, ospedali e luoghi di ricovero dei civili. Ma a differenza dei russi non fa terra bruciata di tutto ciò che incontra. Sono differenti le premesse storiche e anche quelle attuali dei due conflitti, ma i parallelismi sono tuttavia, purtroppo, possibili perché, molto banalmente, avvengono e le verosimiglianze ne sono quindi la conseguenza cinica.

La NATO si prepara quindi ad una espansione della sua sfera di influenza tanto in Europa ad est quanto nell’ancora più inesplorato, eppure tante volte occupato e combattuto, versante del Pacifico: dai secoli prenovecenteschi fino alla fine della Seconda guerra mondiale almeno dalla nascente potenza imperiale americana. Che cosa è accaduto, dunque, rispetto a due anni e mezzo fa quando, lo stesso Macron che oggi magnifica l’invio delle truppe terresti in Ucraina, decretava la morte comatosa dell’Alleanza?

Non esiste una risposta sola ad una domanda che comprende una serie di contingenze così veloci nel prodursi e riprodursi dallo sconvolgere l’assetto planetario dato soltanto pochi decenni fa dalla fine dell’epoca delle due superpotenze. Quello che si può affermare con una certa precisione, senza grossolane sbavature e pericolosi inciampi, è che il declino americano è inaccettabile per il liberismo occidentale che, lo si voglia o no, ha ancora negli Stati Uniti il migliore amico e nume tutelare.

Dall’altro versante del pianeta, la corsa alla competizione in questo senso è partita prima ancora che l’URSS crollasse sotto il peso delle sue contraddizioni e sotto la spinta di una seducente, moderna idea di democrazia da esportare insieme al diritto di tutte le merci di viaggiare per ogni dove (a differenza delle persone…). Per questo si è andata via via formando una sorta di “avanguardia antirussa” che ha individuato nel blocco orientale il nuovo nemico da combattere. Ad iniziare da Mosca, ma senza tralasciare Pechino.

Ed infatti non abbiamo fatto altro, in queste righe, se non sottolineare la duplice direzione che prende l’atlantismo moderno: verso la Russia ad est (in Europa) e verso l’ovest rispetto agli Stati Uniti (nel Pacifico e in Asia), costringendo i BRICS ad un manovra di emergenza per non essere compresi e compressi nella tenaglia che si va nemmeno tanto lentamente formando. In questa mossa spregiudicata della politica occidentale, liberista, imperialista e militarista, si muove la risposta uguale e contraria degli avversari.

In mezzo, come capita purtroppo di dire e scrivere spesso, stanno quei popoli che si guardano confusi in una reciprocità di mediocri esistenze in cui lo sfruttamento imperversa, le armi più che mai e il nord e il sud del mondo guardano al nuovo millennio senza la speranza di riuscire a ridurre la forbice del divario che li separa storicamente e che si amplia a dismisura. La NATO non ci difende proprio da niente e da nessuno. Rimane un gigantesco problema insoluto per una Costituzione come la nostra, là dove si dice che l’Italia non risolve le controversie internazionali con le guerre.

Ma ci dimentichiamo sempre, noi pacifisti, di ricordarci che l’Alleanza atlantica, mentre rifornisce di armi l’Ucraina e addestra i suoi uomini a morire al fronte negli scontri con le truppe russe, mentre prolunga la guerra e la sofferenza del popolo, lo fa a scopo umanamente difensivo. Non c’entrano nulla le economie e le finanze, i costi dei conflitti e i grandi commerci di armi. Tutta propaganda dei “pacifinti“, marziani, utopisti della pace e magari di qualche rivoluzione ancora vagheggiata…

MARCO SFERINI

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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