Nonostante la vittoria della coalizione di sinistra alle elezioni legislative, Macron sta tramando di tutto per evitare che il Nouveau Front Populaire possa ottenere le redini del governo, tradendo l’esito del voto popolare ed i principi costituzionali.
Dopo i timori del primo turno del 30 giugno, che aveva visto l’estrema destra passare in vantaggio, il secondo turno delle elezioni legislative francesi, tenutosi il 7 luglio ha visto la vittoria della coalizione di sinistra del Nouveau Front Populaire (NFP), guidato da La France Insoumise (LFI) di Jean-Luc Mélenchon, ma che comprende anche il Parti Socialiste (PS) ed il Parti Communiste Français (PCF).
Grazie ad una forte partecipazione popolare volta ad evitare il successo della destra neofascista, con oltre il 66% degli aventi diritto che ha preso parte ad entrambi i turni, con un incremento di circa venti punti rispetto al 2022, la coalizione di sinistra ha conquistato nel suo complesso 180 seggi, con un incremento di 49 rispetto alla precedente legislatura, interrotta anticipatamente dal Presidente Emmanuel Macron in seguito al risultato negativo ottenuto dal suo partito alle elezioni europee.
Macron sperava probabilmente di rafforzarsi con questa tornata elettorale anticipata, ma ha invero quasi rischiato di consegnare il Paese nelle mani dell’estrema destra. Ensemble, la coalizione che sostiene l’attuale Presidente, ha perso invece milioni di voti, passando da 245 a 159 seggi, e diventando dunque la seconda forza parlamentare, precedendo di poco il Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen e Jordan Bardella, che con la coalizione di estrema destra ha eletto 142 deputati.
L’ascesa dell’estrema destra ha svantaggiato anche la destra liberale di Les Républicains (LR), che, alle prese con spaccature e dissidi interni, ottengono appena 39 scranni, mentre i restanti seggi sono finiti nelle mani di formazioni minori e partiti regionalisti. Su un totale di 577 seggi a disposizione, comunque, nessuna delle principali coalizioni ha neppure avvicinato la maggioranza assoluta, per cui sono presto iniziate le trattative per trovare un compromesso che permetta la formazione di un esecutivo, soprattutto dopo che il primo ministro in carica, Gabriel Attal, ha rassegnato per ben due volte le proprie dimissioni, con Macron costretto ad accettarle al secondo tentativo.
La logica vorrebbe dunque che il nuovo primo ministro venga scelto tra gli esponenti de LFI, e che ottenga il sostegno della coalizione centrista macroniana, in nome di quel patto, il barrage républicain, che pone come prioritaria l’esclusione dell’estrema destra neofascista e xenofoba dalle sfere del potere. Questo tacito accordo che dura da decenni, una sorta di conventio ad excludendum in salsa francese, ha sempre permesso alla Francia di evitare di cadere in mano all’estrema destra, ponendo argini prima allo storico leader dell’allora Front National (FN), Jean-Marie Le Pen, e poi a sua figlia Marine. Affinché il barrage républicain continui a dimostrarsi efficace, Macron dovrebbe ora accettare l’esito elettorale e nominare un primo ministro della coalizione di sinistra.
“Il Nouveau Front Populaire è senza ombra di dubbio la prima forza della nuova Assemblea Nazionale“, si legge in un comunicato pubblicato sul sito ufficiale di LFI. “Conformemente alla prassi repubblicana in periodo di coabitazione, spetta al Presidente della Repubblica rivolgersi subito al Nouveau Front Populaire per permettergli di formare un governo. Se il Presidente della Repubblica persistesse nell’ignorare il risultato delle elezioni di domenica, sarebbe un tradimento dello spirito della nostra costituzione e un colpo di forza democratico al quale ci opporremmo con tutte le nostre forze“.
Secondo Assan Lakehoul, autore di un articolo pubblicato sulla testata CommunisteS e ripreso dal sito del PCF, Macron non avrebbe invero escluso un possibile accordo con la destra, motivo per il quale starebbe temporeggiando, come dimostrano le dimissioni di Attal respinte nella prima occasione. “Il Nouveau Front Populaire ha impedito all’estrema destra di ottenere una maggioranza assoluta, anche se tutto indicava che fosse inevitabile. Tuttavia, sappiamo che è lontano dal disporre di una maggioranza assoluta, il che rende il sua margine di manovra ridotta. Resta comunque la prima forza all’Assemblea Nazionale, il che rappresenta un punto di appoggio e una speranza per la gioventù e le lavoratrici e i lavoratori“, ha scritto Lakehoul.
Le macchinazioni di Macron sono diventate ancor più evidenti in seguito all’accordo tra i macroniani e LR per mantenere Yaël Braun-Pivet alla presidenza dell’Assemblea Nazionale con 220 voti, ai danni del candidato comunista André Chassaigne, sostenuto dalla coalizione di sinistra, che ha ottenuto 207 voti. Come sottolinea un articolo pubblicato da L’Humanité, ad essere decisivi nella rielezione dell’esponente macroniana sono stati i voti di diciassette ministri dimissionari ancora in carica, “in spregio della separazione dei poteri sancita dalla Costituzione“. “Vergogna a tutti questi deputati che hanno scelto un’alleanza di convenienza, quella del campo presidenziale con le destre. La loro politica è stata respinta, ma vogliono imporla. È un colpo di forza contro la democrazia“, ha reagito il segretario nazionale del PCF, Fabien Roussel.
Secondo gli analisti, Macron non avrebbe voluto lasciare l’incarico di primo legislatore ad un rappresentante della sinistra, per giunta comunista, soprattutto per via del potere di nominare i membri del Consiglio Costituzionale, una delle prerogative del presidente dell’Assemblea Nazionale. “Saremo in Parlamento i difensori del potere legislativo“, ha reagito Chassaigne. “Il voto dei francesi è stato rubato da un’alleanza contro natura. Che i deputati repubblicani, che hanno permesso ciò, si dichiarino all’opposizione è malsano e nauseabondo“.
Resta ora da chiarire se Macron intende proseguire con gli intrallazzi ed i colpi di mano anche per la nomina del primo ministro, o se il capo del governo potrà essere un esponente della sinistra, come decretato dal voto popolare. Il PCF ha proposto che i nomi dei possibili candidati vengano sottoposti al voto dei deputati della coalizione, una proposta che ha ottenuto il sostegno di Olivier Faure, segretario del PS. Questa soluzione potrebbe in effetti essere utile per evitare spaccature interne e proporre un nome con un forte sostegno a Macron. Per ora, i nomi che sono stati fatti sono quelli di Huguette Bello, presidente del consiglio regionale di La Réunion, proposta dal segretario nazionale del PCF, Fabien Roussel, e di Laurence Tubiana, attuale direttrice della Fondazione europea per il clima.
In entrambi i casi, si tratterebbe della seconda donna a ricoprire l’incarico di primo ministro in Francia, dopo l’esperienza non proprio entusiasmante della macroniana Élisabeth Borne. Ma, per raggiungere questo traguardo, sarà necessario superare sia i veti incrociati interni alla coalizione di sinistra che gli intrallazzi tramati da Macron.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog