Elisabetta Grande

Mentre Biden abbandona la corsa, la Convention del partito repubblicano statunitense, conclusasi giovedì 18 luglio a Milwaukee, Wisconsin, ha visto un Donald Trump nel suo massimo splendore. Reduce dalla sparatoria, che in Pennsylvania gli ha risparmiato la vita per un soffio, l’ex presidente è stato accolto dal suo popolo politico come l’eletto di Dio, in un clima di unità del partito e di euforia, come solo il mancato attentato poteva produrre. È stata la divina provvidenza a salvarlo, ha detto molto seriamente lui stesso insieme ai suoi sostenitori – fra cui per esempio Ben Carson, ex segretario dell’Housing and Urban Development Department – in una Convention dalla sceneggiatura hollywoodiana, che lo ha incoronato in qualità di candidato ufficiale rappresentandolo quasi come una icona religiosa. Trump è però anche il candidato virilmente maschio che, a pochi secondi dallo sparo che per un puro caso fortuito gli ha solo forato il lobo dell’orecchio, si è levato col pugno alzato verso la folla antistante, al grido di fight, fight, fight! (“combattere, combattere, combattere!”). La sua forza e mascolinità è stata enfatizzata durante tutta la durata della Convention per segnare la distanza rispetto al suo – fino ad allora – avversario: Joe Biden. Debole, infatti, quest’ultimo, perché considerato rimbambito, abbandonato da tutti i suoi – compresi Barack Obama, Nancy Pelosi e Chuck Schumer –, che gli hanno chiesto di ritirarsi dalla corsa, e ora perfino contagiato dall’influenza Covid e perciò costretto nella sua casa in Delaware in piena campagna elettorale. La comparazione non potrebbe essere più umiliante per il presidente in carica, in un mondo, quello statunitense, in cui – nonostante tutte le aperture verso valori differenti – la pancia di gran parte della gente sembra sensibile al richiamo del machismo e della violenza che quel pugno, insieme all’invocazione alla lotta, portano con sé.

Da Hulk Hogan, ex campione di wrestling, che dal palco ha urlato tutto il suo appoggio a Trump; alla folla – fra cui colpiscono le moltissime donne – che ha ripetuto all’unisono l’invocazione e il gesto di combattimento del proprio beniamino; fino alla presentazione dell’ex presidente da parte di Dana White, l’amministratore delegato dell’organizzazione delle art marziali, come l’uomo più forte e resiliente che egli abbia incontrato, pur trovandosi per mestiere fra uomini fortissimi, l’intera Convention è parsa immersa in una inquietante atmosfera di esaltazione dell’occhio per occhio dente per dente. Si tratta di un’ottica che riecheggia le dichiarazioni di un uso vendicativo del diritto in caso di vittoria elettorale, pronunciate dall’ex presidente dopo la condanna penale ottenuta a suo danno lo scorso maggio da Alvin Bragg, prosecutor di New York affiliato al partito democratico; o ancora che rimanda alla definizione di Trump dell’attuale corsa elettorale come “l’ultima battaglia”. Così, nonostante i richiami retorici all’unità del paese da parte dell’ex presidente nel suo discorso conclusivo di accettazione della nomination e del tentativo dei suoi familiari (fra cui perfino la nipote) di rappresentarlo come un uomo dolce e affettuoso, il testosterone ha rappresentato la vera cifra di questa Convention repubblicana che ha nominato Trump candidato repubblicano alla corsa presidenziale del 2024.

Macho, violento, autoritario – al punto che quest’anno la piattaforma programmatica del partito non è neppure stata discussa con i delegati, ma a loro semplicemente imposta (https://www.nytimes.com/2024/07/18/us/politics/trump-gop-platform-convention.html) – Trump sembra paradossalmente proprio rappresentare il cuore e la visione dell’America che lo ha colpito.

È l’America del suo giovane cecchino, Tom Crooks, di vent’anni appena, vissuto in un paese in cui sono tutti armati (il padre possiede 12 armi di vario tipo e il proprietario di un negozio locale di armi ne ha addirittura 100 tutte sue) e la scuola superiore che ha frequentato ha – fin dal 1950 – una squadra di tiratori. Il giovane Tom non ha certo avuto alcuna difficoltà a procurarsi il fucile AR-15 e le munizioni con cui ha sparato, né a portare l’arma con sé. Dal 2008 ad oggi, la cultura armata in cui quest’America è immersa (a beneficio dei produttori di strumenti di morte, che oggi fanno profitti stellari grazie alle guerre in Ucraina e in Medio Oriente spalleggiate dagli States) è, infatti, stata sostenuta da una Corte Suprema che nel tempo ha dichiarato incostituzionale non solo vietare il possesso di armi, ma anche proibire ai cittadini statunitensi di andare in giro armati a piacimento (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2022/06/28/stati-uniti-dopo-le-sentenze-su-armi-e-aborto-cera-un-volta-la-corte-suprema/). L’ultima decisione, emblematica di un pensiero distorto sulla libertà di armarsi, è di un mese fa e riguarda il diritto di acquistare i bump stocks (quegli accessori capaci di trasformare un fucile semi-automatico, come quello usato per colpire Trump, in uno automatico, capace cioè di sparare colpi a ripetizione), che proprio l’amministrazione Trump aveva vietato, a seguito della carneficina realizzata nel 2017 a Las Vegas da chi, durante un concerto, aveva scaricato alcune centinaia di proiettili sulla folla facendo uso di un fucile modificato, uccidendo 58 persone. Sono, d’altronde, anche le altre Corti di giustizia degli Stati Uniti ad avallare una cultura di guerra, nel nome di una totale libertà di armarsi, impedendo qualsiasi restrizione –per quanto assai ragionevole – i legislatori statali vogliano imporre in fatto di armi. Si pensi al caso della recente legge della California (uno degli Stati più sensibili alla pericolosità delle armi libere) che ne vietava la pubblicità in forma attraente per i minori e che è stata bloccata dal nono circuito d’appello federale (https://www.reuters.com/legal/california-ban-gun-marketing-kids-blocked-by-appeals-court-2023-09-13/). O allo stop imposto dalla stessa Corte alla norma che vietava di portare con sé armi nascoste in luoghi sensibili, quali le chiese, i parchi, gli zoo, i giardinetti per bambini o le banche (https://www.pbs.org/newshour/politics/appeals-court-blocks-california-law-banning-guns-in-most-public-places-from-taking-effect). O ancora al divieto imposto da una corte federale al procuratore generale, sempre della California, di dare applicazione a una legge che consentiva a una pluralità di attori di far causa ai produttori di armi che fossero abnormemente pericolose (https://www.reuters.com/legal/judge-blocks-california-suing-makers-abnormally-dangerous-guns-2024-02-22/). Ugualmente espressione della stessa garanzia di libertà di armarsi è poi stata la decisione del secondo circuito d’appello federale che, pur lasciando passare alcune limitazioni in essa previste, ha bloccato alcuni aspetti di una recente legge dello Stato di New York, fra cui il divieto di portare armi in luoghi di culto o di andare a casa altrui con un’arma nascosta senza il consenso del proprietario – ciò che avrebbe fra l’altro impedito di entrare in ristoranti, negozi e supermercati a meno che fosse esposto un cartello che lo permettesse – o ancora l’obbligo di dichiarare a quali social media ci si era iscritti nei precedenti tre anni per poter ottenere il permesso di girare armati (https://www.pbs.org/newshour/politics/new-york-can-enforce-gun-laws-in-sensitive-locations-for-now-appeals-court-rules).

È lo specchio di una società terribilmente violenta che si riflette in tali decisioni: una società, quella americana, in cui ci sono nientepopodimeno che due stragi al giorno, in cui le sparatorie nelle scuole dall’inizio del 2024 hanno già raggiunto il numero di 117, con 32 morti e 65 feriti (https://everytownresearch.org/maps/gunfire-on-school-grounds/) e nella quale le armi registrate sono circa 400 milioni: più dei suoi 333 milioni di abitanti, bambini compresi. È un’America in cui invale la moda di inviare foto augurali di Natale che ritraggono i propri figli equipaggiati con pistole o fucili “esplicitamente designati per uccidere a un’età in cui quei bambini credono probabilmente ancora a Babbo Natale” (https://www.nytimes.com/2024/03/26/opinion/guns-mass-shootings.html?unlocked_article_code=1.fk0.CINF.SCICJzCACYnj&ugrp=m). È l’America di Trump, della cui violenza il 13 luglio egli ha paradossalmente fatto le spese, la cui cultura aggressiva l’ex presidente continua a nutrire e celebrare, come il clima di esaltazione testosteronica e machista della Convention appena conclusasi ha dimostrato, insieme all’endorsment che la National Rifle Association statunitense non ha certamente mancato di fargli arrivare

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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