Il susseguirsi di un caldo estremo e di piogge diluviali ha aggravato tutti gli sconquassi strutturali derivanti , sotto il governo Modi, dalla liberalizzazione del mercato del carbone e dall’eliminazione della legge che vincolava l’uso delle terre al consenso obbligatorio delle popolazioni locali. La crisi climatica e idrica è ricaduta così sugli strati più poveri del Paese
Passato il giugno più caldo degli ultimi 123 anni, l’India si prepara per la stagione dei monsoni. Il ciclone Remal che ha colpito il golfo del Bengala e il nord-est del paese a inizio giugno, è stato uno dei primi segnali della portata del mutamento climatico dovuto all’aumento delle temperature a livello globale. La portata del ciclone, aumentata dalla calda temperatura delle acque del golfo e dal repentino spostamento delle correnti dal sud indiano, ha causato danni di notevole portata, tra cui 84 morti e milioni di sfollati tra Bangladesh e India. Il fenomeno non è di portata congiunturale. Oltre al predetto ciclone, il combinato disposto dello scioglimento dei ghiacciai negli altipiani himalayani e del susseguirsi di eventi climatici disastrosi ha portato lo Stato dell’Assam – stretto tra Bangladesh e le montagne del Bhutan – a essere colpito da alluvioni che hanno colpito oltre 2,4 milioni di persone e hanno causato il decesso di 70 persone.
Anche a Delhi l’arrivo della stagione delle piogge ha avuto effetti ingenti. Le piogge del 27 giugno hanno messo in ginocchio la capitale indiana. In un solo giorno sono stati registrati 228mm di precipitazioni, quantità pari al 25% del totale delle precipitazioni per l’intera stagione dei monsoni. A Safdarjung, si sono verificati picchi di 148mm in soltanto tre ore. Quartieri e arterie principali della città sono stati sommersi dall’acqua per molte ore. Le autorità competenti della capitale hanno ricevuto 363 chiamate di soccorso per allagamenti ed inondazioni di stabili. A fine giornata sono stati rinvenuti otto morti, tra cui un autista colpito dal crollo di un pezzo del terminal esterno dell’aeroporto Indira Gandhi di Delhi.
Fenomeni metereologici e carenze infrastrutturali
Una delle principali cause identificate che hanno contribuito all’intensificazione degli allagamenti è l’inadeguatezza del sistema di drenaggio delle acque piovane. Il complesso è stato progettato nel 1976 per gestire un massimo di 50mm di pioggia al giorno e per servire una popolazione di sei milioni di persone, totalmente obsoleto per una città in cui oggi vivono oltre venti milioni di persone. A nulla sono servite le operazioni di pulizia di 2.100km di canali nelle scorse settimane in preparazione della stagione delle piogge. Su questo fronte pesano i ritardi nella costruzione di nuove reti fognarie e di drenaggio annunciate dalle autorità nel 2009 e mai realizzate. Destano preoccupazioni le condizioni del già inquinato fiume Yamuna in cui sono riversate le acque reflue.
Anche Mumbai, capitale economica del paese, a nord-ovest del paese è stata colpita da massicce piogge. Lunedì 8 luglio sono caduti 168mm di pioggia con picchi di 300mm nelle aree di Bhandup e Pawar. Gli effetti delle precipitazioni sono stati meno catastrofici che a Delhi ma hanno causato vari danni ad aeroporti, trasporti ferroviari e stradali nella città che si è trovata paralizzata davanti all’evento. Sono stati gli slum e le aree più povere a essere maggiormente colpite. I danni sono difficilmente calcolabili data l’assenza di monitoraggio da parte delle autorità competenti. Ad amplificare gli effetti delle prime piogge monsoniche è l’inadeguatezza della rete fognaria con capacità di 55mm/h e l’assenza di un monitoraggio efficiente da parte delle autorità competenti, come dichiarato da Sushma Nair del dipartimento meteorologico indiano all’”Hindustan Times”: «Questi sistemi meteorologici su piccola scala sono difficili da prevedere, poiché si sviluppano rapidamente e si verificano in un’area spaziale limitata di tempo».
Le prime piogge stanno mettendo a dura prova la tenuta delle infrastrutture del paese. Oltre al già citato crollo del terminal dell’aeroporto di Delhi, ci sono stati altri due crolli di strutture aeroportuali a Jabalpur in Madhya Pradesh e Rajkot in Gujarat; nello Stato settentrionale del Bihar sono crollati dodici ponti in due settimane nel mese di giugno; in tutto il paese si moltiplicano le segnalazioni di crolli di infrastrutture stradali.
La causa non è la pioggia ma la gestione clientelare degli appalti pubblici. Con la pubblicazione dei dati sul finanziamento dei privati ai partiti sotto lo schema electoral bonds è emersa la collusione tra il partito di governo Bharatiya Janata Party, guidato dal premier Narendra Modi, e gruppi a cui è stata appaltata la costruzione di infrastrutture pubbliche. Il settore è centrale nei progetti di sviluppo economico del paese data l’esigenza di ammodernare le infrastrutture per attrarre investimenti esteri nel paese.
Stando ai dati del dipartimento meteorologico indiano, la stagione appena passata ha fatto registrare ondate di calore inusuali per il subcontinente per il terzo anno di fila. A soffrirne particolarmente è stato il nord del paese dove si è registrata la temperatura record di 52.3° a Delhi il 29 maggio, ed una temperatura tra i 4.5° ed i 6.4° sopra la media stagionale causando un aumento del 30% delle giornate di caldo estremo rispetto ai 70 anni precedenti. I numeri dei 448 morti per il caldo dichiarati dalle autorità sono solo una parte dei 41.000 decessi sospetti in relazione alle ondate di calore.
Il subcontinente è una delle aree a maggior rischio climatico ed ecologico nel pianeta. Se l’intera area sud-asiatica è al centro delle attenzioni dei climatologi mondiali, l’India è ancor di più centrale nelle analisi data la portata degli eventi sulla popolazione di 1.4 miliardi di persone, le peculiarità geografiche delle aree peninsulari e costiere con propri microclimi scombussolati dal veloce incedere dei cambiamenti climatici in aree come l’Himalaya e il golfo del Bengala. L’aumento di temperature medie precedentemente citato restituisce la realtà degli scombussolamenti globali. Allargando lo sguardo, i 12 mesi appena trascorsi hanno visto le temperature medie in aumento di 0.76° rispetto alla media del periodo 1991-2020 e di 1.64° rispetto al periodo preindustriale.
La temperatura della superficie marittima a 20.85° è la temperatura più alta registrata, dato che ha dei riflessi sulla portata dei cicli monsonici. L’impatto del trend globale assume maggior risonanza nell’area del golfo del Bengala dove negli ultimi trent’anni si è registrato un aumento del livello del mare annuo di 4.44mm, il 30% più alto della media globale, che legato all’aumento di temperature dell’Oceano Indiano di 1.4° rispetto al 1870 è alla base dell’aumento degli eventi catastrofici.
Immagine di Climate Center da Flickr
Le conseguenze della crisi idrica
A questi dati si sommano le conseguenze della crisi climatica nel settore agricolo dove le zone agricole dipendenti dai fiume Gange e Brahmaputra hanno visto decrescere il volume d’acqua dei pozzi di 200mm3/s all’anno con maggiori conseguenze sul Bengala indiano dove il dato si assesta su perdite di 1.200mm3/s all’anno. L’impatto del continuo decrescere delle risorse idriche è tra le cause del calo sulle stime del raccolto di grano del 6.25% previsto per l’anno corrente. Anche le piantagioni di tè nell’Assam, dove è concentrato il 13% della produzione globale, sono diminuite di 39.64 mln/kg rispetto all’anno precedente – dati riferiti al maggio 2023.
Il settore già vessato dall’impatto delle nuove liberalizzazioni sul mercato agricolo del governo Modi nel 2020 subisce anche il colpo della crescente siccità dovuta al riscaldamento globale oltre che dell’inquinamento dei fiumi da cui si alimentano i canali d’irrigazione. Il costante problema della siccità è ora amplificato dalle estreme temperature e dall’espansione di metodi di agricoltura industriale, cosa che sta facendo salire ogni anno il numero di suicidi tra i contadini.
Il riflesso della crisi idrica arriva anche nelle grandi città. Già a marzo, a Bangalore, polo industriale del sud dell’India, la popolazione ha sofferto le carenze di acqua corrente nella città dovute a prosciugamento dei pozzi, urbanizzazione selvaggia, sfruttamento industriale e scarsa capacità di gestione della rete idrica.
Per 11 milioni di persone non ci sono stati grandi rischi, mentre per i tre milioni più poveri la situazione è stata drammatica. Una situazione simile stava per essere replicata nella capitale Delhi, quando a inizio giugno l’acqua ha iniziato a scarseggiare. La capitale dipende per la maggior parte dalle risorse idriche provenienti dagli Stati del nord di Haryana e Himachal Pradesh, dato che le acque del fiume Yamuna che attraversa la città sono inquinate. Per sopperire alle mancanze d’acqua sono state impiegate autocisterne nei quartieri più poveri ed è stato richiesto alla Corte Suprema l’arrivo di maggiori risorse dagli Stati settentrionali. Per porre pressione sull’ente giudiziario, la Ministra dell’acqua della capitale, Atishi, ha iniziato uno sciopero della fame conclusosi con il suo ricovero in ospedale, complici le temperature costantemente sopra i 40° nella terza settimana di giugno.
Insufficiente la risposta al cambiamento climatico
L’attuale quadro globale e i piani di sviluppo per l’India sotto il piano Viksit Bharat 2047, bandiera del Governo Modi, pongono vari interrogativi sullo sviluppo di politiche in grado di mitigare le conseguenze del cambiamento climatico nel subcontinente. Concentrandoci sul solo contesto politico indiano, si patisce la mancanza di attenzione sulla questione climatica ed ecologica come dimostrato nell’ultima campagna elettorale dove i maggiori partiti hanno trattato in modo più che marginale l’argomento. L’attuale Governo Modi appena insediatosi sta mostrando un atteggiamento indifferente alla questione mostrando una propensione a concentrare gli sforzi sul far diventare l’India terza potenza economica a livello mondiale senza curarsi della questione climatica.
Il rifiuto di attenersi agli obiettivi espressi nella COP-28 di Dubai è manifesto nel rifiuto espresso da Modi di pagare per le conseguenze dello sviluppo di una piccola parte dell’umanità, ovvero dell’Occidente. Il posticipo degli obiettivi di phase-out dai combustibili fossili è stato rimandato in una dichiarazione d’intenti al 2070, sostanziato dalla dipendenza dal carbone pari al 73% per la produzione di energia elettrica e dai crescenti accordi commerciali per l’approvvigionamento di combustibili fossili con Stati come Iran e Russia. Il settore è al momento in espansione con progetti di costruzione di nuovi siti estrattivi e centrali a carbone, a oggi al centro di scandali inerenti l’uso di terre comuni e l’appalto ad aziende attive nel settore già al centro di vicende giudiziarie.
L’espansione del settore delle energie rinnovabili come fotovoltaico ed eolico è in lenta progressione. Al momento la produzione di energie rinnovabili pesa per l’11.7% del totale dell’energia prodotta nel paese – dato relativo a marzo 2024 – con una forte diminuzione di energia prodotta nel settore idroelettrico.
Quest’ultimo settore, in progressiva espansione negli ultimi decenni, è attualmente poco affidabile data l’incidenza di siccità, aumento di alluvioni e danni strutturali dovuti al crollo delle infrastrutture. La poca affidabilità dell’idroelettrico è confermata dal crollo di produzione al 8.3% del totale di energia prodotta rispetto al 12.3% del decennio precedente. Infine, è problematica la relazione tra istituzioni, aziende e popolazione residente nell’area di costruzione di dighe e impianti di produzione di energia idroelettrica rispetto ai diritti d’uso della terra che portano al suo spossessamento.
Le maggiori aziende attive nel settore delle energie rinnovabili sono al momento concentrate nel ricevere fondi statali per lo sviluppo di infrastrutture e mezzi di produzione senza che si registrino sostanziali avanzamenti nella produzione. La questione è centrale nell’India, oggi terzo consumatore mondiale di energia elettrica – 223 GW nel giugno 2023 – e affetto da numerose interruzioni nella fornitura diretta ai consumatori.
A chiudere il quadro vi è il cambiamento del quadro legislativo. Negli ultimi anni, l’azione legislativa ha impattato notevolmente sulle aree protette ora sguarnite di dispositivi di salvaguardia degli ecosistemi e in cui è possibile in modo facilitato infrastrutture e siti produttivi. Tra le insidie più grandi vi sono quelle legate a spossessamento ed inquinamento di risorse naturali da cui traggono beneficio le popolazioni locali, come nel caso della costruzione di dighe, nuove reti ferroviarie e infrastrutture portuali di larga portata. È anche facilitato l’insediamento di siti estrattivi grazie alla liberalizzazione del mercato del carbone e all’eliminazione della legge Environmental Impact Assessment Act, legge con cui si vincolava il permesso di uso delle terre al consenso obbligatorio delle popolazioni locali. Gli effetti sono tangibili sul versante della crescente deforestazione. Nel periodo tra il 2013 e il 2023 si sono persi 1.49mln di ettari di foreste – pari a cinque volte l’estensione dello Stato di Goa – e tra il 2014 ed il 2018 24.329 ettari di foreste sono stati sacrificati per la costruzione di strade e ferrovie, portando a essere l’India il secondo paese con il più rapido disboscamento dopo il Brasile.
A pagare le conseguenze di questo modello di sviluppo sono al solito i più poveri. Attualmente, stando al rapporto UNICEF 2021 su cambiamento climatico e sostenibilità ecologica, 17 persone su 20 sono vulnerabili a disastri metereologici e idrogeologici.
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