Emmanuel Raffaele Maraziti

Non se la prenda l’autore, Mauro Armanino – che non conoscevo e sono certo sia una bravissima persona ed un valido scrittore – ma era un po’ che non leggevo un titolo così concettualmente assurdo

Ex operaio, ex sindacalista, dottore in Antropologia culturale ed oggi prete missionario nel Niger, più volte pubblicato soprattutto sul tema dei migranti, proprio ieri Armanino pubblicava su “Il Fatto Quotidiano” un articolo dal titolo: “Niger a un anno dal golpe: l’albero (della sovranità) si riconosce dai suoi frutti.

Negli anni ho visto associare la sovranità al fascismo, al razzismo, allo sciovinismo, al complottismo e quant’altro. Tutte cose che naturalmente non hanno nulla a che fare con la sovranità, che è piuttosto l’esatto contrario di quanto elencato.

Fraintendimenti simili, relazionati all’uso del termine “sovranismo”, hanno una chiara matrice politica. In questo caso, però, il fraintendimento è talmente grossolano che, in maniera certamente involontaria, sembra quasi esaltare i bei vecchi tempi del colonialismo ed evidenzia un malinteso culturale diffuso.

Rileggo il titolo: un riferimento al golpe in Niger e poi la frase “L’albero (della sovranità) si riconosce dai suoi frutti”.

Il riferimento evangelico dell’albero che si riconosce dai suoi frutti (Mt 7, 15-20 e Lc 6, 43-45) viene evidentemente usato per affermare che la situazione (il golpe militare e le conseguenze descritte nell’articolo) non è altro che il risultato dell’esaltazione (ritenuta evidentemente retorica in sé e per sé) della sovranità.


“L’attuale capo di stato [Abdourahamane Tchiani, ndr]”, spiega Armanino, “ha decretato il 26 luglio come nuova festa nazionale del Niger. Ciò per sottolineare la cesura tra un prima e un dopo l’ultimo colpo di stato militare che ha spodestato il presidente Mohammed Bazoum, a tutt’oggi detenuto nel palazzo presidenziale. La festività, artisticamente orientate al recupero delle culture tradizionali, durerà sino alla celebrazione della festa nazionale, il prossimo 3 agosto”.

Il missionario prosegue con sarcasmo: “Si celebra in qualche modo l’Indipendenza dall’indipendenza per una nuova dipendenza, quella della ‘sovranità nazionale’. Il Paese è infatti indipendente dal giogo coloniale francese dal 1960, l’anno delle indipendenze per 14 Paesi dell’Africa subsahariana francese. Si aggiunsero il Congo Belga, la Somalia italiana e la Nigeria britannica. L’Etiopia, la Liberia e la Guinea avevano già gustato il frutto, dolce e amaro, della sovranità”.


Nell’ultimo passaggio, lo scherno in due tempi nei confronti della sovranità è ancor più evidente e, come notavo, sembra (anche se sono certo che non sia questa l’intenzione) quasi mettere in dubbio che l’indipendenza dei Paesi africani dal giogo coloniale sia stata una cosa positiva.

Scorrendo altri articoli dell’autore, colgo il nesso: pur in assoluta buona fede (il fine, in questo caso, è denunciare un regime ed una situazione difficile), in effetti, ogni occasione è buona per tirare fuori la sovranità a sproposito, come in questo caso.

“Il nazionalismo che si offre allo sguardo e commento dei politici sotto varie diciture”, osserva Armanino in un altro articolo, “secondo i contesti, i linguaggi e le applicazioni, si apparenta al sovranismo e, occasionalmente al fascismo”.

Per l’occasione, in questo caso, tira fuori addirittura Hobbes, le guerre di religione e il Leviatano, “animale mitico può costringere i sudditi a abbandonare la propria sovranità in cambio di sicurezza e protezione”.


A questo punto, dunque, penso sia rilevante far notare all’autore che un banale fraintendimento sul termine rappresenta un cortocircuito rilevante da un punto di vista politico: se si continua a remare ideologicamente contro la soluzione, difficilmente la troveremo. E questo a prescindere dalla fiducia nella propaganda di un regime sedicente sovranista, perché il compito di un osservatore è anche quello di denunciare eventuali mistificazioni – non di avallarle.

Infatti, il Leviatano e Hobbes sono stati abbondantemente superati dal liberalismo e già da tempo lo Stato nazionale sovrano è piuttosto sinonimo e garanzia di democrazia e liberalismo. L’assolutismo è passato di moda da un pezzo e sarebbe il caso di aggiornarsi.
Non si può associare così a cuor leggero la sovranità e l’indipendenza di un Paese con i colpi di Stato e i regimi militari africani.

Perché il problema principale dell’Africa è ed è sempre stato, semmai, il contrario a quello denunciato, ovvero quello delle “non sovranità”.

La metafora dell’albero applicata andrebbe quindi usata al contrario: instabilità e colpi di stato sono infatti proprio il frutto dell’assenza di sovranità o, meglio, della sua debolezza.
Uno Stato sovrano, dotato di istituzioni forti e libere nonché un potere che si esprime secondo il diritto, è uno Stato stabile, capace a sua volta di garantire sicurezza e diritti ai suoi cittadini. Colpi di stato e dittature avvengono proprio quando lo Stato è debole.

L’approfondimento di Limes a cui farò riferimento è un po’ datato ma il titolo è paradigmatico: “Le non sovranità africane. Appunto.

Nel reportage (risalente addirittura al 2016), in cui il Niger viene già inserito tra le “sovranità decorative” del continente africano, si ribadisce proprio questo ragionamento: “Molte le crepe: statualità fragile; difficili equilibri interni fra comunità ed etnie; architetture istituzionali d’importazione; partiti spesso espressione di lealismi etnici e regionali; livelli ancora elevati di corruzione percepita; una palese debolezza delle infrastrutture”.

Questi i problemi dell’Africa, ovvero tutti problemi che la sovranità, sorta per mettere ordine al caos istituzionale medievale e alle guerre tribali e fratricide, ha risolto in Europa dando alla luce lo Stato nazionale moderno.

Certo, da allora (a causa di rigurgiti imperiali) ci sono state guerre anche in Europa ma il nostro continente resta quello con il maggiore equilibrio tra sicurezza, benessere e libertà.

Perché? Grazie allo Stato moderno e al suo figlio prediletto: il liberalismoche ha unito al principio della stabilità, quelli dell’uguaglianza e della libertà.

Ora, possiamo discutere di una difficoltà africana a realizzare pienamente una sovranità liberale, così come possiamo attribuirne tutte le colpe al neocolonialismo (il Niger e la Francia ne sono l’esempio lampante), senza togliere nulla al principio di base: la sovranità è la soluzione e non il problema.

Pare capirlo perfino Potere al Popolo che, in un articolo pubblicato nel gennaio di quest’anno, rifletteva proprio sul tema: “Dall’indipendenza alla sovranità? Una prima riflessione sui colpi di Stato in Africa Occidentale”.

“Per affermare la sovranità territoriale degli stati”, evidenzia il post, “non e’ servita in questi anni la cooperazione militare francese, quella africana sponsorizzata dall’Unione Europea, le missioni internazionali a guida Onu, i numerosi contingenti stranieri che hanno occupato i territori di Mali, Burkina e Niger. Nonostante i 20.000 militari stranieri, i miliardi di dollari investiti, i presidenti filoccidentali, nessun risultato è stato ottenuto, registrando oltre 2000 morti all’anno e sino al 40% del territorio fuori dal controllo statale. Con i governi militari, la musica cambia […] ”.

Nessuna intenzione di fare apologia dei governi militari dopo aver indicato il percorso liberale come soluzione al problema. Questi numeri, da soli, non sono sufficienti a raccontare una realtà che, certamente, Armanino sembra conoscere bene e documentare accuratamente nel suo blog.

Ma, nel momento in cui si mira a compiere un’analisi costruttiva, non si può continuamente gettar fango sulla sovranità e poi disperarsi perché l’Africa è teatro di guerre, colpi di Stato e instabilità acausa della debolezza statuale persistente.

Diffondiamo, piuttosto, la cultura della sovranità e dello Stato quale tutore della libertà

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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