“Vi amo tutti. Dovete recarvi alle urne e votare. Tra quattro anni non dovrete votare di più. Sistemeremo tutto per bene e non dovrete votare”. Queste le parole di Donald Trump in un recente comizio a un gruppo di cristiani al Believers Summit a Palm Beach in Florida.
L’annuncio di Trump contiene un po’ di ambiguità ma allo stesso tempo suggerisce che se gli evangelici non dovranno più votare sarà perché non ci saranno più elezioni. Traduzione: una vittoria di Trump trasformerà gli Usa in un regime dittatoriale. Ecco come sono state interpretate le parole di Trump da Adam Schiff, parlamentare democratico della California. Schiff ha dichiarato che “quest’anno la democrazia è nelle schede elettorali” e per mantenerla bisognerà votare contro “l’autoritarismo”. Anche Pramila Jayapal, parlamentare democratica dello Stato di Washington, ha classificato le parole di Trump come “terrificanti”. Dan Goldman, parlamentare democratico di New York, ha anche lui espresso la sua preoccupazione, asserendo che “l’unica maniera in cui non si dovrà più votare è rappresentata da un’eventuale dittatura di Trump”.
Le parole di Trump hanno fatto scalpore e in un’intervista alla Fox News l’ex presidente ha avuto l’opportunità di fare chiarezza. Laura Ingraham gli ha chiesto di spiegarsi ma il candidato repubblicano ha risposto in modo abbastanza vago dicendo che si riferiva al fatto che ci sono evangelici che votano infrequentemente e lui li voleva incoraggiare a presentarsi alle urne. Dopo l’elezione del 2024, secondo l’ex presidente, questi elettori potranno ritornare a saltare le elezioni.
L’accusa a Trump di tendenze dittatoriali però è ben meritata e ci viene confermata da parole ma soprattutto da fatti. Come abbiamo scritto in queste pagine recentemente, Trump si è impossessato del Partito Repubblicano facendo perno sul suo potere di influenzare le primarie nelle diverse contese parlamentari e anche per il Senato. Qualunque candidato repubblicano che non segue le sue direttive verrà sfidato alle primarie con un prescelto di Trump. Nella stragrande maggioranza dei casi l’individuo selezionato dall’ex presidente vincerà le primarie e eventualmente l’elezione in quei distretti o Stati che tipicamente votano per il Partito Repubblicano. Va ricordato che pochissimi sono i distretti e gli Stati in bilico e quindi le primarie assumono importanza capitale.
Altre azioni di Trump ci confermano ovviamente la sua propensità verso l’autoritarismo. I suoi strenui tentativi di sovvertire il risultato elettorale incitando l’insurrezione del 6 gennaio 2021 ce lo dimostrano. Da aggiungere che la democrazia americana è sopravvissuta grazie al lavoro esemplare di Mike Pence, vice di Trump, che si rifiutò di obbedire al suo capo, rispettando i suoi doveri costituzionali. Infine l’integrità di leader repubblicani in alcuni Stati come l’Arizona e la Georgia come pure della magistratura impedirono a Trump di effettuare un vero golpe.
Una vittoria dell’ex presidente a novembre trasformerebbe l’America in un Paese in cui i poteri dell’esecutivo avvicinerebbero il sistema a un regime autoritario. Il Progetto 2025 della Heritage Foundation, che abbiamo discusso in queste pagine in precedenza, rappresenta un impianto architettonico secondo cui i dipendenti di carriera verrebbero licenziati e rimpiazzati da individui fedeli al presidente. Il piano include anche moltissime altre idee che limiterebbero la libertà non solo della stampa ma anche i diritti personali.
Trump ha capito il pericolo elettorale del Progetto 2025, elaborato dalla Heritage Foundation ma con la stretta cooperazione di alcuni dei suoi ex collaboratori che con ogni probabilità ritornerebbero al governo in una sua eventuale amministrazione. Ecco perché lo staff dell’ex presidente ha fatto pressione ai vertici della Heritage Foundation e il leader del Progetto 2025 Paul Dans si è dimesso. Trump aveva cercato di prendere le distanze dal Progetto e la sua campagna ha avvertito proprio oggi che chiunque vi collaborasse non farebbe parte di una nuova amministrazione di Trump. Una minaccia poco credibile poiché Stephen Miller e Peter Navarro, partecipanti alla stesura del Progetto 2025, fedelissimi di Trump, sarebbero difficili da escludere in una nuova amministrazione repubblicana. Impossibile da escludere J.D. Vance, vice di Trump, legato strettamente al Progetto 2025. Vance infatti ha scritto la prefazione a un libro sull’argomento da pubblicarsi a settembre, scritto da Kevin Roberts, architetto del Progetto.
Il problema per Trump è che i piani inclusi nel Progetto riflettono in grande misura le sue idee codificate però in un programma strutturale. L’ex presidente è di questi giorni ovviamente preoccupato per il ritiro di Joe Biden. Kamala Harris ha suscitato notevole entusiasmo e negli ultimi giorni i sondaggi vedono la candidata democratica in pectore leggermente favorita a livello nazionale ma anche in alcuni Stati chiave come la Pennsylvania, Michigan, Nevada, Arizona e Wisconsin, secondo dati compilati da Real Clear Politics ma confermati anche dall’agenzia Bloomberg/Morning Consult. Da aggiungere che nell’intervista con Ingraham Trump ha dichiarato di non essere interessato a confrontarsi in un dibattito con Harris. Almeno per adesso. Se i sondaggi continuano a peggiorare potrebbe facilmente cambiare idea