Il silenzio sui crimini israeliani – coperto dal fantomatico “diritto alla difesa” – è il tassello fondamentale del mosaico di responsabilità che ne consente la prosecuzione e l’escalation.
Il diritto alla difesa di Israele?
Israele da sempre usa una tattica per minimizzare le reazioni ai suoi crimini: ne commette molti simultaneamente, in modo da ridurre l’attenzione disponibile per ciascuno.
Nell’ultima settimana, oltre ai consueti massacri che hanno ammazzato centinaia di persone e demolito centinaia di case, scuole etc, oltre all’ennesima evacuazione di massa intimata a centinaia di migliaia di palestinesi deliberatamente affamati e assetati, l’IDF:
- ha fatto saltare in aria un grande serbatoio di acqua potabile a Gaza proprio mentre il virus della polio ha fatto la sua comparsa nell’acqua di Gaza. Il virus della polio si trasmette proprio grazie all’acqua inquinata.
- centinaia di suoi soldati, coloni e parlamentari della maggioranza di governo (Likud incluso) hanno rivendicato come legittimo lo stupro a scopo di tortura da parte di soldati israeliani nei confronti di prigionieri palestinesi, invadendo la corte militare israeliana senza trovare alcuna resistenza.
- ha ucciso Isma’il Haniyeh, l’uomo che negoziava da mesi con loro un cessate il fuoco
- ha deliberatamente ucciso il notissimo giornalista di Al Jazeera Ismail al-Ghoul e il suo cameraman Rami al-Rifi che raccontavano la storia dell’uomo appena assassinato. Il corpo di al-Ghoul è stato decapitato dall’esplosione.
In particolare, sull’ultimo crimine, penso che sia doveroso notare che praticamente nessuno tra le migliaia di giornalisti italiani si è preso la briga di esprimere in qualche modo, anche solo a livello personale, qualche forma di commozione, solidarietà o indignazione per l’ennesimo episodio della spaventosa mattanza dei loro colleghi palestinesi.
Questo silenzio è, ogni giorno che passa, sempre più rumoroso. Di fronte alla decapitazione di al-Ghoul è diventato assordante e insopportabile. Delle due, una: o ai giornalisti nostrani non frega assolutamente nulla del massacro dei loro colleghi, oppure hanno paura di esporsi. Ma chi ha paura di esporsi semplicemente non è un giornalista, perché tradisce il requisito numero uno di un giornalista che è il coraggio morale e materiale di scrivere cose scomode per chi è al potere.
Non sono questioni di poco conto: il silenzio sui crimini israeliani è il tassello fondamentale del mosaico di responsabilità che ne consente la prosecuzione e l’escalation.
La responsabilità della massa di giornalisti asserviti al potere è gigantesca e per questo la storia non farà loro nessuno sconto, riconoscendo la loro organica complicità nel consentire la commissione del peggiori crimini perpetrati dall’Occidente in piena luce del sole