• Loretta Napoleoni

Se fino a fine giugno la campagna elettorale americana era sembrata sonnolenta e poco dinamica, nelle ultime quattro settimane si è trasformata in una corsa eccitante, esilarante ed imprevedibile. L’ultimo colpo di scena arriva dai mercati, un capitombolo di quelli storici che azzerano montagne di profitti accumulati durante mesi e mesi e disseminano il panico tra gli investitori. Certo ai poveri d’America importa poco che lo Standard & Poor sia sceso di diversi punti percentuali, che Nvida abbia perso il 18pc dal picco più recente e che vale appena 3 mila miliardi di dollari, ma per chiunque negli Stati Uniti abbia uno straccio di pensione, e sono tanti e tanti, l’andamento di quell’indice e’ importante. Una buona fetta dei soldi che gli americani accantonano per la vecchiaia finisce infatti in borsa e viene investita non in singole azioni ma negli indici. A seconda dell’andamento della borsa, dunque, non solo i super ricchi anche la gente comune si sente piu’ o meno ricca o povera. Questa percezione è fondamentale quando si vota. La domanda chiave che tutti gli americani si pongono prima di entrare nelle urne è la seguente: “negli ultimi quattro anni la mia condizione economica e finanziaria e’ migliorata oppure no?”. Ebbene se si andasse a votare domani la riposta sarebbe negativa con le prevedibili conseguenze.

Dai crolli di borsa storici – quello attuale viene paragonato al celeberrimo martedì nero dell’ottobre del 1987 anche se per magnitudine rimane molto più piccolo – non ci si riprende in pochi mesi, generalmente ci vogliono anni per recuperare le perdite, quelle del 1987 rientrarono dopo piu’ di due anni. Ma non basta, la gente tende ad associare la perdita di ricchezza subita all’inquilino della Casa Bianca. Un fallimento personale del presidente, insomma. Sua è la responsabilità perche’ le cariche monetarie dello stato sono di sua nomina, come il governatore della riserva federale o il capo del tesoro, sua è la responsabilità anche perche’ la Casa Bianca decide la politica fiscale da perseguire. Nei momenti di grande transizione, come quello che stiamo vivendo dalla fine del Covid, poi, il ruolo del presidente appare fondamentale nel dirigere l’economia.

Non a caso la doppietta Biden-Harris si è piu’ volte vantata di aver ben gestito la ripartenza economica dopo il Covid e di avere negli ultimi tempi finalmente abbattuto l’inflazione. Ebbene il crollo di questa settimana potrebbe essere il colpo di spugna che cancella gli ultimi quattro anni facendo apparire disastrosa la conduzione dell’economia di questa amministrazione. Il motivo principale è una politica monetaria eccessivamente conservatrice. Da mesi ci si domanda perche’ la Riserva Federale non taglia i tassi d’interesse come avviene nel resto del mondo. Secondo molti l’errore del governatore Powel è stato di aspettare fino all’anno elettorale per farlo ed a quel punto abbattere i tassi poteva apparire una decisione politica, per dare ossigeno non solo all’economia ma anche a Biden ed alla Harris nella corsa alla rielezione.

Naturalmente i mercati non sono crollati per questo motivo, a spingerli verso il basso e’ stata come sempre una tempesta perfetta e cioe’ la nuova politica monetaria giapponese, la contrazione dell’industria dei microconduttori a Taiwan,  i dubbi sulla futura performance dell’Intelligenza artificiale, la bolla finanziaria in cui e’ finita l’industria dell’high tech, il carry trade Yen Dollaro costruito sui differenziali tra i tassi d’interesse dei due paesi, gli indicatori economici americani che offrono un’istantanea dell’economia non piu’ rosea come un tempo, la vendita di considerevoli pacchetti azionari da parte di grossi investitori come Warren Buffet e, dulcis in fundo il nervosismo dei mercati mondiali nei confronti della situazione geopolitica mondiale, tra cui il proliferarsi di focolai di guerra. Nonostante questa lunga lista, nell’immaginario collettivo dell’elettorato americano la colpa del crollo e’ di Biden, e quindi anche della Harris. Il crollo conferma una sentimento gia’ presente che in campo economico non sono poi cosi’ abili come lo e’ stato Trump, in carica quando i primi grandi picchi degli indici di borsa si sono verificati e che durante il Covid ha distribuito a tutta la nazione in lockdown generosi assegni mensili. Si tratta di percezioni, non di fatti ma Donald Trump le sfrutta quotidianamente a suo vantaggio.

Stiamo parlando dell’America della classe media e medio alta, non della classe operaia né dei poveri poveri, parliamo di quella fetta di popolazione che vive relativamente bene, che si sta godendo la pensione, a maggioranza baby boomers, e che possiede un portafoglio, anche se modesto, di titoli che garantisce loro ogni anno una rendita. Questa America è in parte democratica in parte repubblicana, una grossa fetta e’ anche indecisa, puo’ facilmente votare un candidato piuttosto che un altro a seconda della propria convenienza. È anche un’America che vota, ricordiamocelo, a differenza dei compatrioti piu’ poveri. E per questa America le dimensioni del proprio portafoglio pesano sulla decisione se votare l’uno o l’altro candidato.

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-loretta_napoleoni__la_tempesta_perfetta_perch_crollano_i_mercati_statunitensi_e_con_quali_conseguenze/56082_56175/#google_vignette

Di Red

„Per ottenere un cambiamento radicale bisogna avere il coraggio d'inventare l'avvenire. Noi dobbiamo osare inventare l'avvenire.“ — Thomas Sankara

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