Projet 2025 non è solo il programma politico dal sapore autoritario di Trump, candidato presidente Usa per i repubblicani, ma un progetto per rivoltare come un calzino dal di dentro la struttura federale della “più grande democrazia del mondo”, facendola scivolare pericolosamente sempre più a destra.
Si chiama Project 2025, ma si legge “Manifesto per una svolta a destra degli Usa”. È un documento di oltre 900 pagine con cui la destra americana che appoggia la candidatura di Donald Trump a presidente Usa vuole rifare il volto del Paese; è la nuova Bibbia del Gop, il Grand Old Party, il Partito repubblicano, in chiave trumpiana su migranti, amministrazione federale, giustizia, sicurezza, cambiamenti climatici, per dare una decisa sterzata autoritaria alla più grande democrazia del mondo, assegnando più poteri al presidente repubblicano che si dovesse insediare alla Casa Bianca il prossimo gennaio. Quando nel 2016 Trump fu eletto per la prima volta Commander in chief, si lamentò perché il suo think tank di esperti e consiglieri non gli aveva preparato un programma adeguato alla sua impresa e segnalato una classe dirigente allineata alle sue idee, ma stavolta è diverso, perché il piano adesso c’è, messo lì nero su bianco, pronto per essere realizzato, anche se finora ufficialmente lo stesso Trump ne ha preso le distanze. Projet 2025 è stato sviluppato dopo un lavoro di due anni da parte dell’Heritage Foundation, un gruppo di esperti repubblicani e di altre organizzazioni conservatrici, riuniti insieme con l’obiettivo di redigere un piano per rivoltare come un calzino la struttura federale statunitense fin dal primo giorno dell’auspicabile (per i repubblicani) insediamento del tycoon dai capelli color carota come presidente Usa, per rifarla a suo uso e consumo. Il programma prevede un ampliamento pervasivo e invasivo del controllo presidenziale sul governo federale, permettendo al nuovo presidente di dirigere direttamente tutti gli uffici di vertice, compresi anche il Dipartimento di giustizia, l’Fbi e le altre agenzie investigative, finora rimaste strutture autonome e indipendenti, conferendo al presidente un potere maggiore rispetto a quello che attualmente gli viene riconosciuto dalla Costituzione, già molto ampio. Esso contempla anche la riforma del sistema di assunzione dei dipendenti pubblici, per garantire la presenza nei vari uffici di uomini fedeli alla linea presidenziale, rimuovendo molti degli attuali impiegati, considerati non proprio allineati, per sostituirli con altrettanti più fedeli, selezionati addirittura con l’intelligenza artificiale. Non si tratta solo di spoils system, prassi tipica della politica statunitense, che consente al nuovo presidente di sostituire centinaia di figure apicali della struttura burocratica federale, dai ministri ai sottosegretari, dagli ambasciatori ai giudici (i dirigenti e funzionari amministrativi di rango più basso sono tutelati dalla legge e di solito rimangono al loro posto), per adeguare la macchina burocratica all’indirizzo politico legittimo dettato dal presidente neo eletto, ma qualcosa di più profondo, che vuole scendere più giù nei vari livelli impiegatizi, fino al cuore stesso della struttura burocratica, lasciata finora sostanzialmente indenne nel passaggio da una presidenza ad un’altra. In questa maniera verrebbe messo in piedi un esercito di conservatori tutti allineati al pensiero del capo, addestrati al meglio per smantellare il vecchio sistema e crearne uno nuovo a uso e consumo di The Donald, con uomini e donne fedeli alla sua linea. Altre misure previste dal documento di destra riguardano lo smantellamento del Dipartimento dell’educazione e l’accorpamento del Dipartimento della sicurezza interna con altri uffici di controllo dell’immigrazione, l’aumento dei finanziamenti per il completamento del muro posto al confine con il Messico, il potenziamento della polizia di frontiera, l’eliminazione dei visti per le vittime della tratta di persone, l’aumento delle tasse per gli immigrati, l’uso massiccio dell’esercito per respingere chi oserebbe oltrepassare il confine Sud del paese, l’espulsione di coloro che sono riusciti comunque ad entrare, attraverso “la più grande deportazione della nostra storia”, come l’ha definita lo stesso Trump alla convention repubblicana di Milwaukee, la realizzazione di centri di detenzione per i nuovi arrivati, dove rinchiudere tutti, famiglie e minori compresi. In campo economico si suggeriscono riduzioni fiscali per le imprese e i redditi più alti, l’abolizione della Federal Reserve, la banca centrale americana, e il possibile ritorno alla convertibilità del dollaro in oro [1]. In tema di famiglia, intesa sempre in senso tradizionale (padre, madre – ovviamente di sesso diverso – e figli), nata e fondata su un legittimo matrimonio, il progetto conservatore trumpiano non pone un divieto nazionale dell’aborto, come pure chiesto dagli ultrà conservatori cristiani, lasciando la scelta sul tema ai singoli stati federali, ma prevede il ritiro delle pillole abortive dal mercato e il divieto della pornografia, la cancellazione di termini come orientamento sessuale e diritti riproduttivi dalla normativa federale e la cessazione dei programmi di inclusione Lgbtq+ nelle scuole, nella sanità e nel governo.
Un’altra idea messa su carta è pure quella di porre fine alle politiche di contrasto ai cambiamenti climatici, con la cancellazione della Noaa, la National oceanic and atmospheric administration, l’agenzia scientifica e normativa posta all’interno del Dipartimento del commercio, che si occupa di previsioni meteorologiche, monitoraggio delle condizioni oceaniche e atmosferiche, tracciamento di mappe dei mari, esplorazioni in acque profonde, gestione della pesca e protezione dei mammiferi marini e delle specie in via di estinzione. Comunque, indipendentemente dalla reale attuazione di queste misure e dai possibili limiti che non sono stati presi in considerazione (non si possono infatti licenziare i funzionari pubblici e non si può impiegare l’esercito per attività interne di polizia), Project 2025 è il manifesto del trumpismo che può cambiare in profondità l’assetto istituzionale della democrazia americana. Anche se gli autori affermano che non è destinato esclusivamente a Trump, ma offerto a qualsiasi futuro presidente repubblicano che lo voglia adottare, la scelta fatta alla convention Gop di Milwaukee dell’estremista J.D. Vance come possibile vicepresidente di Trump, lascia pensare seriamente che molte delle proposte inserite in Project 2025 potrebbero davvero essere attuate già a partire dal prossimo gennaio, qualora Trump dovesse essere rieletto a novembre. Ma chi è Vance?
J.D. Vance è un quarantenne senatore repubblicano dell’Ohio, ex caporale in Iraq, che si è fatto tutto da solo. Nato in miseria in una famiglia emarginata, con nonno ubriacone, mamma drogata, papà presto divorziato, povertà come “tradizione di famiglia” – come ha detto egli stesso -, grazie ai sacrifici della nonna è riuscito a riscattarsi, studiare, laurearsi alla Yale university, arruolarsi nei marines, diventare avvocato, lavorare per un imprenditore della Silicon Valley. Vance ha il pedigree giusto per rilanciare il sogno americano, per il quale anche un pezzente può immaginare di diventare un giorno il presidente degli Stati Uniti d’America, e per rendere difficile ogni possibile attacco dei democratici. In passato egli ha espresso dubbi e perplessità sulla politica di Trump, votando indipendente, finché il suo capo non ha creato l’occasione giusta per la sua candidatura al Senato tra le file repubblicane. La sua strada si incrocia così con quella di The Donald e i due diventano inseparabili. Sembra però che sia stato Donald jr. a volere Vance come vice di suo papà. Brillante, bravo a scrivere e molto di più a parlare, presente sui social, Vance è capace di rinfacciare ai democratici un “voi parlate di poveri, io sono stato povero” e sarà sicuramente un osso duro nella campagna per le presidenziali, coprendo il fianco a Trump – figlio di un ricco e ricco anch’egli – con un vicepresidente che si è fatto tutto da solo e conosce bene le sofferenze delle famiglie bianche, senza laurea, di ceto medio basso, che devono barcamenarsi ogni giorno con l’aumento dei prezzi, la crisi economica, i conti da pagare, la concorrenza dei migranti e dei prodotti cinesi, che rappresentano la base dei voti trumpiani. Duro sull’immigrazione irregolare, protezionista in economia e isolazionista in politica estera, nemico del diritto di scelta delle donne sull’aborto e della cultura LGBT+, J.D. Vance è il conservatore americano all’antica, come ce lo immaginiamo tutti noi. Ecco allora con chi e con cosa dovranno fare i conti i democratici in questa lunga campagna elettorale, perché gli Stati Uniti d’America non scivolino pericolosamente in fondo a destra.
Note:
[1] La convertibilità monetaria è l’obbligo della banca centrale di uno stato di cambiare a vista, a chi dovesse richiederlo, i biglietti cartacei in oro o argento o in altra moneta estera convertibile. In passato ogni paese dichiarava la parità della propria moneta rispetto all’oro e ciascuna banca centrale s’impegnava a convertire la propria moneta in oro e viceversa, sulla base della parità dichiarata. Nel 1944, con gli accordi di Bretton Woods, venne deciso che il dollaro sarebbe stata l’unica valuta convertibile in oro ad un valore prefissato, mentre tutte le altre valute avrebbero avuto cambi fissi con il dollaro. La conferenza sancì, tra l’altro, anche la nascita del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale e pose fine al predominio finanziario e monetario del Regno Unito, mentre il dollaro divenne la valuta di riserva mondiale. Ma pochi anni dopo il sistema entrò in crisi, perché con l’aumento degli scambi internazionali sarebbe stato necessario un continuo aumento della massa di dollari in circolazione, che non avrebbe consentito il mantenimento del cambio con l’oro. Nel 1971 Nixon svalutò così per ben due volte il dollaro e vietò la convertibilità tra la moneta americana ed il metallo giallo, sancendo di fatto la fine di tale sistema di convertibilità del dollaro in oro, che adesso la destra americana vorrebbe rispolverare
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