La Striscia di Gaza è in macerie. Da dieci mesi gli attacchi indiscriminati condotti su larga scala dall’esercito israeliano prendono di mira case, ospedali, moschee, scuole, come quella di al-Tabin, dove pochi giorni fa le Forze di difesa israeliane (IDF) hanno ucciso cento palestinesi. Il servizio satellitare delle Nazioni Unite, l’UNOSAT, ha pubblicato una mappa eloquente, che fa il punto della situazione circa gli edifici del territorio palestinese occupato. Oltre 46 mila strutture risultano distrutte, a cui si aggiungono quasi 80 mila edifici danneggiati, di cui 18 mila in modo grave. Se si tiene conto, poi, di circa 35 mila strutture potenzialmente compromesse si arriva a un totale di 156 mila edifici colpiti dall’esercito israeliano, pari al 63 per cento delle strutture presenti nella Striscia di Gaza, situate in particolare tra le città di Gaza, Khan Yunis e Rafah.
La mappa pubblicata dalle Nazioni Unite restituisce solo in parte la gravità e l’impatto degli attacchi sferrati da Israele sulla Striscia di Gaza, un’area di appena 361 chilometri quadrati. Ad aprile il relatore speciale dell’Onu sul diritto a un alloggio adeguato Balakrishnan Rajagopal, riferendosi a Gaza, aveva già parlato di domicidio, ossia l’”uccisione deliberata” delle case quali luoghi essenziali per vivere. A distanza di tre mesi l’UNOSAT ha stimato oltre 215 mila unità abitative distrutte o danneggiate. Tel Aviv ha sganciato più di ottanta mila tonnellate di esplosivo sulla Striscia di Gaza, dove le case sono diventate tende, alberi, strade sterrate. La popolazione di oltre due milioni di palestinesi fronteggia sfollamenti ed esodi continui, verso zone definite sicure dall’esercito israeliano e che poi puntualmente finiscono per essere bombardate. Sovraffollamento, assenza di forniture mediche, scarsità (e inquinamento) di cibo e acqua stanno favorendo il diffondersi di malattie, come la scabbia o la poliomielite.
I numeri del genocidio che si sta consumando in diretta social a Gaza crescono di ora in ora: si contano 40 mila palestinesi uccisi, 90 mila feriti e 10 mila dispersi sotto le macerie. Nel frattempo i colloqui per un cessate il fuoco restano in stallo; i timidi segnali di apertura vengono presto superati da attacchi violenti e su larga scala compiuti dall’esercito israeliano e quindi decisi dal premier Benjamin Netanyahu, che sa bene che al termine dell’aggressione militare dovrà fare i conti con la giustizia e scontare le conseguenze politiche delle sue scelte. All’orizzonte resta poi fissa – e anzi si avvicina – la risposta militare dell’Iran all’omicidio del capo politico di Hamas Ismail Haniye avvenuto a Teheran per mano israeliana.
[di Salvatore Toscano]