“Era una ripetizione del 2016”. Queste le parole di Lawrence O’Donnell, conduttore di “The Last Hour” alla Msnbc per descrivere il ruolo dei media nella recente conferenza stampa di Donald Trump a Mar-a-Lago, il suo resort in Florida. O’Donnell, uno dei più liberal giornalisti nella rete che molti considerano di sinistra, si riferiva alla condotta dei media nella loro copertura della campagna elettorale dell’ex presidente. Va ricordato che otto anni fa le televisioni a cavo trasmettevano da inizio a fine tutti i comizi di Trump mentre ignoravano in grande misura la sua avversaria Hillary Clinton. Ai comizi del 2016 l’allora candidato repubblicano riceveva il microfono e poteva dire tutto quello che voleva senza nessun fact-checking.

Nel recente incontro di Trump coi giornalisti a Mar-a-Lago è successa proprio la stessa cosa. L’evento è stato trasmesso dal vivo dalla stragrande maggioranza delle reti televisive incluso la Msnbc, dove lavora O’Donnell. O’Donnell ha anche rimarcato che durante la conferenza stampa Kamala Harris faceva un comizio in Michigan che i media hanno in grande misura ignorato nonostante le folle di presenti che ricordano l’entusiasmo delle campagne elettorali di Barack Obama.

Quando O’Donnell parla di ripetizione del 2016 ha completamente ragione. Nella conferenza stampa di Mar-a-Lago Trump è riuscito a dire tutto quello che ha voluto senza nessun fact-checking da parte dei giornalisti presenti. In effetti, l’ex presidente ha avuto più di un’ora per spifferare menzogne, esagerazioni, e insulti che sono diventati il marchio di Trump. L’analisi della National Public Radio (Npr) ha calcolato 162 dichiarazioni di Trump che entrano nella categoria di menzogne o asserzioni fuorvianti, ossia 2 per ognuno dei 64 minuti della conferenza stampa. I giornalisti presenti non hanno sfidato o chiesto chiarificazioni da Trump.

Alcune delle menzogne hanno a che fare con il numero di presenti ai comizi. Trump è contrariato dalle migliaia e migliaia di sostenitori che affollano i comizi di Kamala Harris. L’ex presidente si è lamentato che nessuno parla dei suoi comizi e le folle che secondo lui sono più grandi persino di quelle di Martin Luther King. In realtà è completamente falso. L’esempio citato da Trump riflette una presenza di 50 mila partecipanti a Washington il 6 gennaio 2021. Nel caso di King del suo famoso discorso a Washington D. C. “I have a dream” (io ho un sogno) del 1963 si tratta di 250 mila presenti. Inoltre c’è una bella differenza. King promuoveva l’uguaglianza di tutti i cittadini indipendentemente del colore della pelle e la pace. Trump, invece, ha incitato i suoi sostenitori ad assaltare il Campidoglio nel suo tentativo di bloccare la certificazione di Biden a presidente.

Le mancate sfide dei media alle menzogne di Trump nei suoi otto anni in politica hanno in grande misura legittimato il candidato a tal punto che le ripetute menzogne hanno creato una realtà alternativa. I fatti vengono eliminati nel mondo dell’ex presidente per moltissimi americani che lo credono. Una buona fetta del suo elettorato crede alla “big lie” (la grande menzogna) dell’elezione rubata nel 2020. Inoltre le condanne di Trump, una penale e due civili, non sembrano preoccupare i suoi sostenitori. L’ex presidente con i suoi ripetuti attacchi usa la stessa strategia delle aziende con i loro annunci pubblicitari. La ripetizione ci convince a comprare i loro prodotti. Le ripetute menzogne di Trump sui magistrati corrotti hanno eroso il peso delle sue condanne, lavandosi le macchie nella mente di molti americani, convincendoli di meritare il ritorno alla Casa Bianca.

I media hanno spesso giustificato la mancata sfida alle asserzioni di Trump credendo o sperando che gli elettori se ne rendano conto per se stessi. Difatti molti elettori sono poco informati e la cacofonia dei social intorbida le acque ed è difficile vederci chiaro. O’Donnell crede nel fact-checking ma non in quello fatto il giorno dopo. Lui lo vede come necessità istantanea. Secondo lui, i media potevano smentire le asserzioni false di Trump contemporaneamente. Quando Trump nella conferenza stampa ha insultato Harris accusandola di essere impreparata, i media avrebbero potuto aggiungere in una parte dello schermo note biografiche della candidata democratica. Gli spettatori avrebbero avuto l’opportunità di mettere in dubbio l’asserzione di Trump.

Il fact-checking immediato funziona come abbiamo visto nell’intervista concessa da Trump al convegno della National Association of Black Journalists a Chicago. Rachel Scott, la giornalista dell’Abc, non ha dato tregua a Trump e lo ha incalzato, facendo notare le sue menzogne. I collaboratori di Trump hanno notato che il loro capo è stato sbilanciato dalle domande e hanno chiuso l’intervista inaspettatamente dopo 30 minuti invece di farla scorrere per un’ora come era stato programmato.

Il 10 settembre si terrà, salvo colpi di scena, il dibattito fra Trump e Harris. Non si sanno i dettagli ma si spera che i giornalisti della Abc faranno il loro compito di fact-checking che non hanno fatto i loro colleghi della Cnn il 27 giugno nello scontro tra Trump e Biden. Quando i media non sfidano i politici facendo notare alcune delle loro asserzioni palesemente false non fanno il loro dovere per i cittadini. La democrazia ha bisogno di comunicazioni affidabili. Ma anche la credibilità dei media va messa in dubbio quando individui come Trump vengono messi in condizione di dire quelle che vogliono senza i necessari paletti.

Di Domenico Maceri

Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.

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