I ministri degli Esteri di Italia, Francia, Germania e Regno Unito hanno emesso una dichiarazione congiunta in cui esprimono pieno sostegno agli sforzi di mediazione in corso, guidati da Stati Uniti, Qatar ed Egitto, al fine di raggiungere un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, dove il bilancio delle vittime dei raid israeliani diventa ogni giorno più tragico. L’obiettivo dichiarato del documento è «sostenere gli sforzi di mediazione» per la tregua e la liberazione degli ostaggi. Una mossa che rompe il lungo silenzio dei maggiori Paesi europei sull’operato israeliano, ma che appare un’azione retorica senza alcuna possibilità di incidere. Anche perché gli stessi governi firmatari dell’appello continuano a intrattenere rapporti commerciali e militari con Israele e hanno scelto di non appoggiare le risoluzioni ONU per la fine delle ostilità e il riconoscimento della Palestina.

«Regno Unito, Francia, Germania e Italia sostengono fortemente gli sforzi di mediazione in corso da parte di Stati Uniti, Egitto e Qatar per concludere l’accordo per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi e sono incoraggiati dall’approccio costruttivo adottato finora», si legge nella nota, nella quale si sottolinea inoltre «l’importanza di evitare qualsiasi escalation nella regione che possa minare le prospettive di pace», dal momento che «la posta in gioco è troppo alta». I quattro governi occidentali esortano «tutte le parti a continuare a impegnarsi in modo positivo e flessibile in questo processo». Con il sostegno del Qatar e dell’Egitto, gli Stati Uniti hanno presentato venerdì una proposta a entrambe le parti in causa che mira a colmare le lacune tra loro, in linea con i principi stabiliti dal presidente Biden il 31 maggio 2024 e con la risoluzione 2735 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Tuttavia, la tranche di colloqui attualmente in atto è segnata da una circostanza di peso: l’assenza ai tavoli del confronto dei rappresentanti di Hamas, il cui capo politico, Ismail Haniyeh, è stato ucciso da Israele a fine luglio. Non è forse un caso che l’appello dei quattro Paesi sia arrivato proprio in questo contesto temporale.

Per svelare l’ipocrisia che sta dietro a questo slancio, occorre ricordare il sostanziale immobilismo che ha caratterizzato l’azione della maggior parte dei Paesi del blocco occidentale, Italia compresa, che hanno anzi continuato a lucrare sulle storiche relazioni diplomatiche e militari molto strette con Israele. Non è infatti mancato il sostegno diretto o indiretto rispetto alle azioni militari di Tel Aviv attraverso la vendita di armi o il supporto diplomatico all’interno delle organizzazioni internazionali. Mentre la Francia ha sostenuto le risoluzioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che hanno chiesto il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e l’adesione della Palestina all’ONU (che hanno ottenuto il via libera), mostrando un maggiore allineamento con le posizioni di altri paesi europei che auspicavano un’azione più incisiva per fermare le ostilità, in Assemblea Generale l’Italia, la Germania e il Regno Unito hanno optato in entrambi i casi per l’astensione, mentre gli Stati Uniti – Paese di cui i quattro Stati firmatari sostengono gli «sforzi di mediazione» per il perseguimento della Pace in Medio-Oriente – hanno votato no. Solo a giugno si è arrivati all’approvazione, in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, di una risoluzione per un piano finalizzato al cessate il fuoco. In Germania è peraltro da mesi in atto un’intensa criminalizzazione delle proteste pro-Palestina, sfociata addirittura nella cancellazione di un concerto dell’ex leader dei Pink Floyd Roger Waters, tacciato di antisemitismo e indagato per «incitamento all’odio», e nel divieto di ingresso nel Paese per l’ex ministro greco delle Finanze Yanis Varoufakis per le sue posizioni filopalestinesi. Anche nel Regno Unito, dove le proteste pro Palestina si sono espanse nelle piazze all’Università, sono fioccati gli arresti.

Mentre alcuni paesi occidentali in seguito allo scoppio del conflitto hanno sospeso le vendite di armi a Israele, molti continuano a fornire a Tel Aviv materiale bellico. Gli Stati Uniti rappresentano a oggi la fonte primaria di armamenti per Israele, fornendo una vasta gamma di munizioni e armi, inclusi missili guidati e bombe di grandi dimensioni. Anche la Francia continua a esportare armi a Israele, così come la Germania, che manda sistemi anticarro e munizioni. Per quanto concerne l’Italia, l’ipocrisia è addirittura doppia. Se infatti in un primo momento il ministro della Difesa Guido Crosetto aveva assicurato che le vendite di armi a Israele erano state «sospese dopo il 7 ottobre», nel mese di marzo una inchiesta della testata giornalistica Altreconomia aveva dimostrato che le vendite erano continuate. Successivamente, Crosetto aveva assicurato in Senato che le armi inviate erano «materiali che potevano essere impiegati con ricadute nei confronti della popolazione civile di Gaza», sostenendo si trattasse di forniture a fini civili. Ma a smentirlo è stato direttamente un rapporto dell’Agenzia delle Dogane, che ha certificato come, solo nei mesi di dicembre 2023 e gennaio 2024, l’Italia abbia esportato in Israele armi e munizioni da guerra e non per uso civile per oltre due milioni di euro.

[di Stefano Baudino]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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