Migliaia di manifestanti pro-Palestina si sono radunati ieri a Chicago, in occasione dell’apertura della Convenzione Nazionale Democratica (DNC), dove hanno messo in atto una protesta contro la vicepresidente USA Kamala Harris per le sue posizioni filo-israeliane. I dimostranti hanno espresso la loro frustrazione contro la candidata democratica alla Casa Bianca, inquadrata come una delle punte di diamante del sionismo “Made in Usa”, definendola «Killer Kamala». Nel mirino degli attivisti ci sono infatti le politiche statunitensi in Medio Oriente e lo storico impegno di Harris nel supporto allo Stato Ebraico, più volte rinnovato negli anni, condotto anche sulla base della contiguità a lobby filo-israeliane. Durante la protesta, alcuni manifestanti hanno persino sfondato una parte della recinzione di sicurezza perimetrale vicino al centro congressi dove si svolgeva la convention, portando alla presenza di polizia antisommossa sul posto. Nonostante il carattere prevalentemente pacifico della manifestazione, si sono verificati alcuni arresti.
In occasione della convention democratica, fortemente imbellettata e incentrata sulla celebrazione del presidente Joe Biden e di quella della sua “erede” Harris, descritta dall’universo dem e dalla maggior parte del mainstream mediatico come la «salvatrice della democrazia», gli attivisti pro Palestina hanno chiesto la fine dell’occupazione israeliana e il taglio dei finanziamenti militari americani a Israele, sostenendo che questi fondi contribuiscono alla violenza contro i palestinesi. La protesta – convocata dalla US Palestinian Community Network, coalizione di oltre 200 gruppi contro i massacri israeliani nella Striscia – si è concentrata sulla richiesta di cessare il fuoco a Gaza e sull’accusa al governo degli Stati Uniti di sostenere militarmente le forze israeliane. L’utilizzo del termine «Killer Kamala» all’indirizzo di Harris vuole infatti sottolineare l’apparente dissonanza tra i discorsi su diritti umani e giustizia su cui la vicepresidente ha costruito la sua immagine pubblica e le sue reali posizioni sul conflitto israelo-palestinese. Sebbene abbia riconosciuto a parole le sofferenze dei palestinesi a Gaza, la candidata democratica non ha promesso alcun cambiamento effettivo nella politica sulla questione. Dalle aperture simboliche – tra cui la designazione di un’emissaria speciale presso la comunità arabo americana e lo sbandierato intendimento di dialogare con la comunità palestinese – non sono, almeno per ora, sfociate iniziative concrete. Nonostante la legge americana preveda che gli USA non possano inviare armi a Paesi sotto accusa presso corti internazionali per violazioni dei diritti umani, Harris non ha ad esempio fatto mai alcun riferimento a una ipotetica cessazione della fornitura di materiale bellico a Israele. Una delle iniziative politiche più significative della vicepresidente USA è stata anzi il forte sostegno offerto al rinnovo e all’estensione degli aiuti militari a Israele, anche nei mesi dei massacri a Gaza, in cui ha ribadito il diritto di Israele di difendersi contro attacchi terroristici.
Durante la sua carriera – in cui ha convintamente riaffermato l’impegno degli USA per il rafforzamento delle relazioni bilaterali con Tel Aviv e la sicurezza dello Stato Ebraico – Harris ha peraltro costantemente cooperato con l’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC), una delle più potenti e influenti organizzazioni di lobbying negli Stati Uniti, che ha coma principale obiettivo quello di assicurare il continuo sostegno bipartisan del Congresso e del governo degli Stati Uniti a Israele, specialmente in termini di aiuti militari e politici. In veste di senatrice della California, Harris ha preso parte a diversi eventi organizzati da AIPAC, dove ha affermato la necessità per gli USA di continuare a sostenere Israele sia a livello di sicurezza che in termini di cooperazione tecnologica e commerciale. Al contrario, Harris si è espressa contro il movimento BDS, che promuove il boicottaggio economico e culturale di Israele, descrivendolo come una minaccia per la legittimità dello Stato Ebraico e promuovendo provvedimenti atti a penalizzare i tentativi di boicottare Israele.
[di Stefano Baudino]