Il ricordo dei sessant’anni dalla morte di Palmiro Togliatti è stato sviluppato in diverse sedi giornalistiche analizzando essenzialmente la questione del ruolo tenuto dal PCI rispetto all’Unione Sovietica, alla divisione del mondo e – sul piano interno – nella costruzione costituzionale con un evidente riferimento al tema della “doppiezza”.

Pressochè inesplorata ( e dimenticata) la parte relativa al ruolo che il PCI ebbe in quegli anni della ricostruzione del Paese dalle macerie della guerra.

Erano gli anni ’50: quelli della polizia di Scelba davanti alle fabbriche o ai campi occupati dai contadini, quando il proletariato contava i suoi morti e lottava per affermare una diversa condizione di vita partendo da Portella della Ginestra all’assassinio di Placido Rizzotto e poi da Modena a Melissa, da Montescaglioso a Battipaglia.

L’Italia dell’emigrazione umiliante e tragica, nel ricordo imperituro di Marcinelle.

Chi ha attraversato quel periodo, ad esempio abitando in una città operaia come Savona e facendo parte orgogliosamente di quella classe, ha ancora nelle orecchie il suono lacerante delle sirene, lo stridore delle gomme delle camionette che salivano sui marciapiedi dove i manifestanti cercavano di ritirarsi, il Natale trascorso sotto le ampie volte di una fredda fabbrica occupata oppure in piazza attorno a falò improvvisati, il commissario con la fascia tricolore che ordina la carica, la miseria nelle case dove ci si radunava per cercare di dare sostegno a chi proprio non riusciva più a cucire il pranzo con la cena ma anche la solidarietà dei commercianti che facevano credito e tiravano giù le saracinesche quando c’era lo sciopero.

Il PCI (e la CGIL) ebbero un ruolo fondamentale nella difesa delle grandi masse operaie e contadine, per il loro riscatto sociale e culturale realizzato anche attraverso una funzione pedagogica del tutto fondamentale e costruendo una comunità solidale e partecipe.

Quando si analizza il periodo della segreteria Togliatti, oltre alla svolta di Salerno, al “partito nuovo”, al voto sull’articolo 7, alla capacità di lettura e diffusione dei Quaderni gramsciani non si può assolutamente dimenticare il ruolo svolto dal partito e dal sindacato nel periodo di pesante repressione di marca democristiana (senza dimenticare la pressione della Chiesa pacelliana sulle coscienze di un’Italia ancora fortemente legata alla visione integralista di un paese a trazione rurale).

Una fase nella quale il mondo era ancora pesantemente condizionato dal pericolo di guerra globale: periodo incrudito dall’evidenziarsi della minaccia atomica già attuata dagli USA a Hiroshima e Nagasaki.

L’Italia del boom nacque in quel modo, attraverso i sacrifici immensi delle lavoratrici e dei lavoratori passati attraverso una temperie straordinariamente pesante, nel periodo – è bene ricordarlo – immediatamente seguente alla guerra, all’invasione nazista, alle deportazioni, alle fucilazioni, alla Resistenza: tutti frangenti drammatici nel corso dei quali il PCI fu fondamentale per tenere unita la classe, difenderla, preparare la controffensiva.

Chi ha vissuto sulla propria pelle quei tremendi anni’50 ha oggi la sensazione del ritorno all’indietro, ma anche di un peggioramento secco della capacità collettiva di capire la condizione nella quale ci si sta trovando alle prese con l’arroganza schiavistica di una multinazionale del potere dal volto e interessi ignoti e solo apparentemente rappresentata – nel “caso italiano” – da un davvero esagerato “revival” della destra nazionalista e corporativa.

Di Franco Astengo

Lunga militanza politico-giornalistica ha collaborato con il Manifesto, l'Unità, il Secolo XIX,. Ha lavorato per molti anni al Comune di Savona occupandosi di statistiche elettorali e successivamente ha collaborato con la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Genova tenendo lezioni nei corsi di "Partiti politici e gruppi di Pressione", "Sistema politico italiano", "Potere locale", "Politiche pubbliche dell'Unione Europea".

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