Centinaia di membri della comunità Maasai sono scesi in strada, nel nord della Tanzania, per denunciare le degradanti condizioni di vita imposte dal governo. Tra i cartelli utilizzati per la protesta, che ha avuto il suo culmine nell’occupazione della via principale dell’Area di conservazione di Ngorongoro, è eloquente il riferimento al Sudafrica negli anni dell’apartheid. In particolare, i Maasai hanno denunciato la violazione del loro diritto al voto in vista delle prossime elezioni, previste a livello locale per novembre. A ciò si sono aggiunti abusi regressi, come le limitazioni alla libertà di movimento o i trasferimenti forzati dalle loro terre ancestrali.
La Maasai International Solidarity Alliance (MISA), una rete associativa a sostegno dei Maasai, ha di recente denunciato la loro esclusione nel processo di registrazione dei votanti. Nello specifico, il governo tanzaniano non ha menzionato il Distretto di Ngorongoro, abitato da circa centomila persone, la maggior parte delle quali Maasai. Un affronto che non stride con le politiche discriminatorie elaborate a Dodoma contro la comunità indigena. Come denunciato da Human Rights Watch, il governo tanzaniano ha messo a punto nel 2021 un piano per sfrattare oltre ottantamila Maasai dalle loro case verso aree inadeguate, con risorse e servizi insufficienti. Per implementarlo, «il governo ha iniziato a ridurre sistematicamente l’accessibilità ai servizi essenziali per i residenti dell’Area di conservazione di Ngorongoro». Difficoltà ad accedere all’acqua potabile, ritiro del personale sanitario, limitazioni alla libertà di movimento, con particolare riguardo per il pascolo degli animali, e violenze fisiche sono diventati elementi costanti della quotidianità Maasai, che ha dunque manifestato per chiedere l’attenzione della comunità internazionale e delle organizzazioni a difesa dei diritti umani.
Tra il 2021 e il 2023 la Tanzania ha visto arrivare sul proprio territorio quasi due milioni di turisti, per un fatturato complessivo di oltre 3,3 miliardi di dollari. Un risultato non casuale per un Paese affermatosi come meta popolare per i safari, con un’offerta via via crescente di pacchetti extra-lusso. A ostacolare la governance tanzaniana è la comunità indigena dei Maasai, a cui intende sottrarre le terre per ampliare le riserve naturali a scopo turistico. Emblema di questa situazione è quella che nel 1959 è stata proclamata area di conservazione di Ngorongoro. La terra ancestrale dei Maasai diventava dunque un parco nazionale da aprire presto al turismo; sessant’anni dopo la popolazione indigena viene accusata dal governo di mettere in pericolo la tutela dell’area, sia con la crescita demografica sia con il pascolo delle greggi. Improvvisamente chi per generazioni ha protetto quei territori diventa una minaccia, un ospite indesiderato.
A gennaio l’esecutivo tanzaniano ha cambiato lo status legale del cratere del Ngorongoro, l’elemento più rilevante del parco nazionale, con l’obiettivo di rendere illegali gli insediamenti umani e le relative attività, tra cui proprio il pascolo del bestiame, perno fondamentale dell’economia Maasai. Nel frattempo, complice l’assenso istituzionale, i lodge presenti sul bordo del cratere continuano ad offrire esperienze a 5 stelle ai turisti facoltosi. “Noi siamo sfrattati affinché i ricchi possano trasformare le nostre case in hotel”, recita uno dei cartelli mostrati dai Maasai, che hanno ben inteso come la logica del profitto sia penetrata nelle falde delle loro terre.
[di Salvatore Toscano]