Erano costretti a lavorare fino a diciassette ore al giorno nei campi e a dormire su scomode brande all’interno di un capanno, come le bestie, senza poter usufruire di ferie o permessi. È quanto emerge da un’inchiesta condotta dai militari del Comando provinciale di Lodi della Guardia di Finanza, che ha mostrato l’esistenza di un sistema di sfruttamento di oltre un migliaio di braccianti, attivi nella raccolta di frutta e verdura, nel periodo compreso tra il 2017 e il 2023. Alle vittime venivano imposti turni di lavoro massacranti fino a 512 ore al mese, contro le 169 previste dal contratto nazionale di lavoro di categoria. I pm hanno contestato al titolare dell’azienda agricola, interdetto per un anno, i reati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le indagini che hanno fatto luce sul fenomeno nella provincia lombarda sono state coordinate dalla Procura di Lodi ed eseguite dal Nucleo di polizia economico-finanziaria delle Fiamme Gialle, che si è avvalso della collaborazione di ispettori dell’INPS. Il giudice per le indagini preliminari ha fatto scattare per il rappresentante legale dell’azienda agricola, che secondo la Procura avrebbe fatto ricorso all’utilizzo di manodopera irregolare per la coltivazione e la raccolta di ortaggi, il divieto di esercitare l’attività imprenditoriale per la durata di un anno. Secondo quanto ricostruito nell’ambito dell’inchiesta, l’imprenditore agricolo faceva leva sullo stato di necessità dei lavoratori – quasi tutti di giovane età e di origine extracomunitaria – a molti dei quali venivano fornite «soluzioni alloggiative precarie, degradanti e sovraffollate». L’imprenditore arrivava addirittura a far pagare ai braccianti una quota per la concessione del posto letto e delle utenze, decurtando loro una parte del già misero stipendio. L’evasione contributiva e fiscale è stata stimata dagli investigatori in circa 3 milioni di euro.
Il fenomeno del caporalato in Italia è sempre più allarmante, e da tempo non è più un problema circoscritto al Mezzogiorno. Nelle campagne del nostro Paese, infatti, quasi la metà dei lavoratori agricoli sono irregolari e oltre la metà delle aziende non rispettano le norme. Lo hanno svelato una serie di controlli congiunti effettuati a fine luglio da INPS, Carabinieri e Ispettorato del lavoro all’interno di province ad alta densità di braccianti, come Mantova, Modena, Latina, Caserta e Foggia. Nell’ambito di tali controlli è stato appurato che, su 109 aziende ispezionate, 62 presentavano irregolarità (56,9%), mentre, su 505 lavoratori controllati, 236 erano irregolari (46,7%). Tra questi c’erano 136 stranieri e figuravano anche 3 minorenni. Sono stati inoltre trovati 64 lavoratori impiegati completamente in nero, di cui 23 erano stranieri sprovvisti di regolare permesso di soggiorno. Un nuovo rapporto dell’associazione ambientalista Terra!, che ha posto la lente di ingrandimento sullo sfruttamento dei lavoratori in Lombardia, ha inoltre evidenziato come, dei 405 distretti italiani in cui viene commesso il reato di sfruttamento del lavoro in agricoltura, circa un terzo si trovi al Nord. Un dato che sconfessa apertamente il luogo comune secondo cui il caporalato in agricoltura sia un fenomeno che interessi unicamente le Regioni del Mezzogiorno. Secondo quanto attestato da una ricerca svolta da CGIA, associazione che riunisce artigiani e piccole imprese, il caporalato in Italia alimenta ad oggi un giro d’affari di 68 miliardi di euro all’anno.
[di Stefano Baudino]