di Federico Giusti
La manovra di Bilancio 2025, prevista per il prossimo autunno, stando alle prime (documentate) anticipazioni a mezzo stampa di giornali come Il Sole 24 Ore e Il Fatto Quotidiano, potrebbe introdurre bonus specifici per ritardare il pensionamento e stabilire nuove regole per destinare una quota del Tfr alla previdenza complementare.
Se la destra aveva vinto le elezioni promettendo di cancellare le norme previdenziali approvate nel corso degli anni (e per altro in tanti casi da loro stessi votate) gli elettorali dovranno presto fare i conti con l’ennesimo voltafaccia.
Un Governo acclamato a furor di popolo , ma ormai con l’astensione del 50 per cento o quasi degli aventi diritto come accade nelle democrazie occidentali con l’avvento anche di sistemi maggioritari inclini a favorire i processi di governabilità, che nell’arco di pochi mesi ha semi distrutto il sistema fiscale (tassa piatta per gli autonomi e mancato ripristino delle aliquote fiscali che avrebbero affermato un criterio equo di proporzionalità tra redditi percepiti e tasse pagate), impoverito il welfare (tagli alla sanità e bonus al personale sanitario per accrescere i carichi di lavoro invece di procedere con nuove assunzioni e investimenti) e preparato una manovra fiscale indirizzata al contenimento del debito per non subire tagli da Bruxelles che ha già iniziato una procedura di infrazione contro l’Italia.
Se non si colgono questi aspetti sarà impossibile comprendere la ragione per la quale il Governo Meloni sta rafforzando l’impianto della Fornero proponendo nei fatti il potenziamento di sanità e previdenza integrativa a mero discapito della sanità e previdenza pubblica.
Si annunciano quindi le solite ricette di tagli al welfare per ritardare l’uscita dal mondo del lavoro proprio come indicato dalla Ue e dai guardiani comunitari del debito pubblico.
Nei fatti andremo in pensione sempre più tardi e chi vorrà anticipare l’uscita dal mondo del lavoro incorrerrà in feroci e insostenibili tagli all’assegno previdenziale
La bozza della manovra di Bilancio dovrà essere inviata a Bruxelles entro il 20 settembre includendo un piano per la riduzione del debito, per questo non volendo rivedere il taglio al cuneo fiscale (che non accresce stabilmente il potere di acquisto dei salari e delle pensioni ma scarica solo sulla fiscalità generale i costi della operazione) non resterà che far cassa sulle pensioni.
E in questa manovra il consenso dei sindacati rappresentativi sarà determinante, del resto sono proprio loro a spingere per potenziare la previdenza integrativa legata ai fondi contrattuali proponendo il vecchio silenzio assenso per indirizzare agli stessi parte cospicua del Tfr
E se le dichiarazioni dei vertici della Cisl sono in perfetta sintonia con il governo (rendere strutturali i tagli al costo del lavoro senza mai rivedere le norme che comportano aumenti contrattuali di gran lunga inferiori al costo della vita) anche Uil e Cgil non mostrano alcuna contrarietà al potenziamento della previdenza integrativa e al meccanismo truffaldino del silenzio assenso né tanto meno si fanno promotori di un sistema alternativo all’attuale meccanismo che impedisce ai salari il pieno recupero del costo della vita)
In estrema sintesi sarà disincentivata ogni uscita anticipata dal mondo del lavoro e si andrà ben oltre l’applicazione del sistema contributivo a tutti gli anni lavorati (con un assegno previdenziale decisamente inferiore a quello che deriverebbe da un sistema misto ossia calcolando l’importo della pensione con il sistema retributivo per gli anni antecedenti al 1994)
Il Mef vuole presentare a Bruxelles una manovra di Bilancio dove la riduzione del debito risulti convincente, arriveranno nuovi bonus atti a favorire il posticipo delle uscite scambiando l’allungamento dell’età lavorativa con degli incentivi e al contempo una quota, ancora da definire, del Tfr sarà destinata alla previdenza complementare per i cosiddetti under 35.
La discussione in atto riguarda la quota di TFR da destinare obbligatoriamente alla previdenza integrativa e la platea dei destinatari di questa manovra, ricorrendo al solito silenzio assenso (ben accolto dai sindacati rappresentativi), è oggetto di discussione in seno al Governo e al tavolo convocato a fine agosto con Cgil Cisl Uil.
Proprio in questi giorni stanno facendo dei calcoli per quantificare le varie opzioni, resta il fatto che la uscita dal mondo del lavoro sarà posticipata e si ricorrerà ancora una volta, come avvenuto con altri Esecutivi, al meccanismo del silenzio assenso, ai disincentivi per la pensione anticipata riproponendo la logica della solidarietà intergenerazionale (per assicurare le pensioni tra 20 o 30 anni saranno necessari dei sacrifici). Nei fatti non basteranno 41 o 42 anni di contributi per andare in pensione, si spinge per portare alle soglie dei 70 anni l’età della pensione almeno per innumerevoli categorie.
Il cantiere previdenziale è aperto ma tutte le opzioni al vaglio del Governo vanno nella medesima direzione, chi vorrà anche andare in pensione con 41, o 42 anni di contributi lo farà a proprie spese e con la decurtazione del futuro assegno, molto probabilmente si andrà ben oltre il calcolo di tutti gli anni versati con il sistema contributivo ma verranno introdotti incentivi per restare al lavoro e decurtazioni per chi vorrà uscirne pur avendo superato i 40 anni di contributi effettivi. Ricette non nuove, basta ricordare il bonus Maroni, non senza la solita dose populista (ad esempio la promessa di salvaguardare le pensioni più basse)
Una manovra rispetto alla quale guadagneranno, con qualche aggiustamento. anche il consenso dei sindacati rappresentativi, magari attraverso il potenziamento di previdenza e sanità integrativa evitando di rispettare la promessa elettorale di anticipare l’età della pensione, favorendo invece in termini economici la scelta di chi resterà fino a 70 anni in produzione per avere un assegno un po’ meno povero.
Una ennesima manovra ai danni dei lavoratori e delle lavoratrici ai quali spetta una risposta conflittuale e convincente