È arrivata ieri, dopo la preghiera dell’Angelus, la reazione inaspettatamente critica di Papa Francesco rispetto alla decisione del presidente ucraino Zelensky di mettere al bando la Chiesa ortodossa ucraina (UOC) legata al Patriarcato di Mosca: «si lasci pregare chi vuole pregare in quella che considera la sua Chiesa. Per favore, non sia abolita direttamente o indirettamente nessuna Chiesa cristiana: le Chiese non si toccano», ha affermato il Papa. Si tratta forse della prima dura presa di posizione da parte del papa contro un provvedimento del governo ucraino. Il Parlamento di Kiev, infatti, martedì scorso ha votato un disegno di legge che mette al bando la Chiesa ortodossa legata a Mosca, nonostante quest’ultima sia la Chiesa con il maggior numero di fedeli in Ucraina. La norma è stata approvata con 265 legislatori che hanno votato a favore e 29 contro. La motivazione che ha spinto Zelensky ad agire in questa direzione è rappresentata dal fatto che la Chiesa ortodossa legata a Mosca è considerata vicina alle istanze e alla visione politica russa e, dunque, guarderebbe con favore anche l’avvio della cosiddetta “operazione militare speciale” russa in Ucraina. Il Servizio di sicurezza ucraino (SBU) ha accusato la UOC di diffondere propaganda pro-Russia. Mettere al bando la Chiesa ortodossa russa significa negare a migliaia di ucraini il diritto a pregare nella loro Chiesa, presupponendo che la maggior parte di essi sia a favore della “causa russa”: «Non si commette il male perché si prega. Se qualcuno commette un male contro il suo popolo, sarà colpevole per questo, ma non può avere commesso il male perché ha pregato», ha asserito sempre papa Francesco in merito.
Insieme alla Chiesa ortodossa legata a Mosca – maggioritaria – in Ucraina erano presenti altre due Chiese: la Chiesa ortodossa dell’Ucraina del Patriarcato di Kiev (fondata nel 1992 dal metropolita Filarete, in opposizione al Patriarcato di Mosca che aveva rifiutato di concedere l’autocefalia alla sua Metropolita in Ucraina) e la Chiesa ortodossa autocefala ucraina, fondata nel 1921 e ripristinata nel 1990 poco prima della caduta dell’URSS. Nel 2018, queste due Chiese, minoritarie nel territorio, si sono unificate – soprattutto per volere del presidente Petro Poroshenko – dando vita alla Chiesa Ortodossa dell’Ucraina, riconosciuta nel 2019 dal patriarca ecumenico Bartolomeo come Chiesa autocefala. L’idea era quella di farne l’unica Chiesa di Stato per rafforzare il nazionalismo e le istanze antirusse, costruendo un’identità “spirituale” prettamente ucraina. L’obiettivo di Poroshenko però non è andato a buon fine perché la Chiesa ortodossa russa ha continuato ad essere maggioritaria, dichiarandosi però indipendente da Mosca subito dopo l’intervento militare russo in Ucraina nel 2022 e prendendo ufficialmente le distanze da alcune dichiarazioni del patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kirill, rispetto ai motivi della guerra. Nonostante ciò, le autorità ucraine hanno continuato a vederla come un mezzo d’influenza del Cremlino, sospettando anche che alcuni suoi membri possano collaborare con la Russia. Da parte sua, Mosca ha condannato subito il provvedimento come un atto «distruttivo». «L’obiettivo qui era quello di distruggere alla radice la vera Ortodossia canonica, e al posto di questa introdurre una falsa Chiesa sostitutiva», ha detto la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova. Allo stesso tempo, il Patriarcato moscovita ha condannato quello di Kiev come un atto di «persecuzione».
Oltre all’aspetto meramente politico-religioso, la recente decisione di Zelensky mette in luce come quella tra Russia e Ucraina non sia solo una guerra che si combatte su un piano storico-politico, bensì anche su un piano spirituale metastorico, come aveva ben messo in evidenza già nel 2022 il patriarca russo Kirill: «siamo impegnati in una lotta che non ha un significato fisico, ma metafisico», aveva asserito. Conscio di ciò, Zelensky non ha fatto altro che tentare di infliggere un colpo letale alla “visione spirituale” russa, percepita come una minaccia esistenziale. L’ortodossia russa, infatti, combatte contro quelli che reputa i “valori” nichilisti dell’Occidente, considerati contrari alla legge di Dio e alla legge “naturale” e resi possibili da quello che è l’asse portante del tessuto sociale occidentale: l’individualismo materialista. Dall’altra parte, l’Ucraina – e di conseguenza la sua Chiesa – si identifica con i valori presunti democratici dell’Occidente e con i suoi modelli sociali e antropologici.
Indipendentemente dalla questione religiosa e spirituale, tuttavia, ciò che emerge è una sempre maggiore stretta in senso autoritario da parte delle istituzioni di Kiev: quella di mettere al bando la Chiesa ucraina legata a Mosca è, infatti, solo l’ultima di una serie di restrizioni a quelle libertà fondamentali per uno Stato che pretende di definirsi democratico. Kiev aveva già limitato la libertà dei media con la creazione di un canale unico televisivo di Stato e non aveva esitato a mettere al bando i partiti di opposizione. Sulle violazioni di tali libertà pesa il silenzio delle istituzioni europee, sin dall’inizio impegnate a dipingere quella tra Russia e Ucraina come una guerra per la libertà e la democrazia. Mentre per quanto riguarda la libertà religiosa è intervenuto inaspettatamente il Papa che, se da un lato ha colto l’occasione per lanciare un nuovo appello per la pace, dall’altro, potrebbe avere aperto una nuova crepa nelle relazioni diplomatiche con Kiev.
[di Giorgia Audiello]