«A partire da questa mattina, non opereremo a Gaza». Questa la dichiarazione di un funzionario delle Nazioni Unite, che ha preferito rimanere nell’anonimato. In seguito agli ultimi ordini di evacuazione che hanno interessato il Governatorato di Deir-al-Balah, presso il centro della Striscia, sono infatti finite le cosiddette “zone sicure”: «dove ci spostiamo adesso?» continua l’anonimo funzionario, sottolineando come la rapidità con cui gli operatori sono stati costretti a muoversi li abbia obbligati a lasciare alle proprie spalle parte dell’attrezzatura. Il funzionario ha comunque specificato che il personale ONU coinvolto non ha intenzione di abbandonare il territorio, e che intende ripartire il più presto possibile con le attività. Il temporaneo abbandono delle operazioni dell’ONU a Gaza, comunque, non fa che confermare la natura coloniale delle azioni di Israele, che tra bombardamenti, ordini di evacuazione, e manovre atte ad ostacolare l’esecuzione di adeguati interventi umanitari stringono il popolo palestinese in una sempre più soffocante morsa.
L’annuncio del funzionario ONU è arrivato ieri, ed è stato condiviso dall’agenzia di stampa Reuters. Secondo quanto comunica il funzionario, lo staff delle Nazioni Unite sul territorio pare essere stato incaricato di cercare un altro modo per operare, motivo per cui le azioni non sono state formalmente sospese. Eppure, ormai, la quasi totalità della Striscia risulta sotto assedio, e le aree dove prestare servizi umanitari appaiono ridotte all’osso. Come comunicano le stesse Nazioni Unite, infatti, a oggi quasi l’84% della Striscia di Gaza (un’area pari a circa 305 chilometri quadrati) è stato posto sotto ordine di evacuazione. Dall’escalation del 7 ottobre, solo l’11% della Striscia non è stato oggetto di sgomberi, eppure questa, sottolinea lo stesso funzionario, non risulta essere una porzione di terra «adatta ad abitare, adatta ai servizi, adatta alla vita». Solo nel mese di agosto, inoltre, l’esercito israeliano ha rilasciato ben 16 ordini di evacuazione, 5 di cui solo tra il 19 e il 24 agosto. L’ultimo, che si è configurato come la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ha preso di mira il Governatorato di Deir-al-Balah, al centro della Striscia, e ha costretto civili e personale sanitario ad abbandonare l’Ospedale dei Martiri di Al Aqsa, l’ultima struttura medica attiva nel centro della Striscia.
Nonostante l’ufficiosa interruzione delle azioni umanitarie sul posto, lo staff dell’ONU pare volere rimanere nella Striscia e cercare un modo per riprendere le proprie attività. Alcune delle agenzie presenti sul territorio, inoltre, sembrano essere riuscite a tenere botta, e, malgrado l’ultimo ordine di evacuazione, hanno continuato a prestare i propri servizi anche ieri: è il caso per esempio dell’UNRWA, che sta comunque affrontando le stesse sfide delle altre agenzie delle Nazioni Unite. Emergency, invece, dopo mesi di attesa, è riuscita ad accedere alla Striscia per offrire assistenza sanitaria di base. Secondo gli ultimi dati rilasciati dal Ministero della Sanità di Gaza, negli ultimi dieci mesi, l’esercito israeliano ha ucciso 40.435 palestinesi, ferendone 93.534. Le stime, tuttavia, sembrano puntare particolarmente al ribasso poiché contano i soli morti verificati, tanto che secondo la rivista scientifica The Lancet le vittime attribuibili al conflitto in data 5 luglio ammontavano ad almeno 186.000 persone.
[di Dario Lucisano]