Negli ultimi anni, i tagli al bilancio dell’istruzione in Italia hanno sollevato preoccupazioni crescenti, specialmente per le conseguenze che questi hanno sulle aree più vulnerabili del Paese.
Le periferie, già svantaggiate da molteplici fattori socioeconomici, sono le più colpite da queste politiche di austerità. Ma cosa significa per i giovani che vivono in queste zone vedere il proprio futuro compromesso da un sistema che sembra ignorarli?
John Dewey, filosofo e pedagogista statunitense, afferma: “L’istruzione non è preparazione alla vita; l’istruzione è la vita stessa.” Tuttavia, quali opportunità rimangono per una persona a cui viene negata la possibilità di studiare a causa del numero chiuso nelle università pubbliche?
Il concetto di accesso agli studi, legato alla meritocrazia, non regge quando si considera il conflitto tra centro e periferia, soprattutto nelle grandi città come Milano.
Nel contesto milanese, esistono alunni di “serie A” e alunni di “serie B”.
Gli alunni di ‘serie A’ sono i figli dell’élite milanese, che frequentano le scuole superiori più prestigiose e possono permettersi ripetizioni private per superare i test d’ammissione nelle università pubbliche. Al contrario, gli alunni di serie B sono spesso studenti delle periferie, che frequentano principalmente istituti professionali e tecnici, indirizzati verso una formazione finalizzata all’inserimento lavorativo. Questi studenti, di norma, non possono permettersi ripetizioni private per i test d’ammissione.
Se non si affronta questa frattura sociale, il sistema meritocratico diventa una farsa.
Il liberalismo, con i suoi continui tagli all’istruzione e con l’introduzione di numeri chiusi nelle università pubbliche, crea una falsa meritocrazia, in cui il merito non è più il risultato del talento o dell’impegno, ma piuttosto delle opportunità socioeconomiche di partenza.
Così, il liberalismo, che dovrebbe promuovere la libertà e l’uguaglianza delle opportunità, finisce per perpetuare e ampliare le disuguaglianze sociali.
In un sistema che chiude le porte dell’istruzione superiore a chi non ha mezzi o sostegno adeguato, i giovani delle periferie e delle classi sociali meno abbienti rimangono ai margini, privati della possibilità di migliorare la propria condizione attraverso lo studio e la cultura.
G.A. Cohen, filosofo politico canadese, ha sviluppato il concetto di “giustizia come eguaglianza di opportunità” per affrontare le disuguaglianze nelle società liberali.
Cohen sostiene che una società giusta non deve limitarsi a garantire diritti formali, ma deve anche eliminare le disuguaglianze sostanziali che impediscono a tutti di avere le stesse opportunità di successo. L’eguaglianza di opportunità, per Cohen, richiede non solo l’accesso ai beni e servizi fondamentali come l’istruzione, ma anche il superamento delle disparità economiche, sociali e culturali che influenzano le capacità individuali di sfruttare queste opportunità. In altre parole, un sistema meritocratico non può essere considerato giusto se non offre a tutti i suoi membri le stesse possibilità di competere su un piano di parità.
Da anni, la società liberale ha orientato il proprio sistema verso un modello che favorisce l’ascesa delle persone con maggiori risorse e possibilità, perpetuando un accesso selettivo alle opportunità e concentrando il successo nelle mani di chi parte da una posizione di vantaggio.
In questo contesto, chi proviene da famiglie benestanti, se non riesce a entrare nelle università pubbliche, può semplicemente aggirare l’ostacolo pagando per frequentare istituti privati, garantendosi comunque un accesso privilegiato all’istruzione e alle opportunità di carriera.
Al contrario, chi non proviene da famiglie benestanti spesso si trova a fronteggiare ostacoli significativi. Senza risorse per accedere a istituti privati o per superare le barriere imposte dalle università pubbliche, questi individui rischiano di restare esclusi dalle opportunità formative e professionali, vedendo le proprie possibilità di successo ridotte a causa delle limitazioni economiche e delle disuguaglianze strutturali.
Questa disparità non solo mina il principio di eguaglianza di opportunità che il liberalismo proclama, ma contribuisce anche a perpetuare un ciclo di disuguaglianza sociale ed economica. La meritocrazia, così come è concepita oggi, diventa una farsa quando il merito è ostacolato dalle condizioni di partenza.
Per costruire una società veramente equa e meritocratica, è imperativo rivedere le politiche educative e investire in misure che garantiscano un accesso universale e paritario all’istruzione. Solo attraverso un impegno concreto per ridurre le barriere economiche e sociali possiamo sperare di creare un sistema in cui le opportunità siano veramente alla portata di tutti, indipendentemente dalle loro origini.
Senza un tale cambiamento radicale, il divario tra chi ha e chi non ha continuerà ad amplificarsi, compromettendo il potenziale di molte persone e minando il tessuto stesso della nostra società