Nel capitalismo post-industriale tutto è esubero, anche la parola, anche il pensiero, la dialettica: ogni spazio e riempito di persone, oggetti, video, idee.
La dialettica nel mondo liberal è un esubero
Una caratteristica centrale della mente è di essere dialettica. La mente struttura se stessa su pensieri e dialoghi che formano quella che noi chiamiamo coscienza (semplificando un’auto-dialogo interiore continuo).
Questo aspetto dialettico viene riprodotto anche nei rapporti sociali (a loro volta dialettici).
L’idea che a confrontarsi in ambito socio-economico siano diversi discorsi (“narrative” -si dice oggi-, un tempo “visioni del mondo”) non è falsa.
A confrontarsi sono perennemente diverse istanze, come in una riproposizione neo-freudiana dell’incontro-scontro tra Id e Super-io: dove il primo sarebbe rappresentato dai discorsi minoritari nella società (minoritari in qualsiasi ambito: scientifico, artistico, politico, sessuale, economico, non importa) e il secondo dalle istanze di conservazione dell’ordine vigente (classe dirigente e sue emanazioni: media, programmi scolastici, universitari, apparato giuridico, forze dell’ordine, morale comune, educazione).
L’Io, ovvero la parte cosciente del corpo sociale, sarebbe quello che vediamo uscendo per strada: una comunità organizzata attorno a determinate regole, dove alcune pratiche sono giudicate normali ed altre assurde.
Questo non deve portare a pensare che ogni conflitto sociale sia in realtà un dialogo (per definizione un logos fra due), quanto che il conflitto sociale si esprima su più piani: alcuni materiali ed altri immateriali, precisamente dialettici.
Il capitalismo avanzato (post-industriale) e la “mente” sociale che lo vive (e crea) si basano sulla pluralità dei discorsi. Nel capitalismo post-industriale tutto è esubero, anche la parola, anche il pensiero: ogni spazio e riempito di persone, oggetti, video, idee (vacue o profonde che siano, non conta).
Il reel o i video consigliati sono la rappresentazione di quanto detto: un susseguirsi continuo di informazioni di ogni tipo, apparentemente caotiche, in realtà profilate da un algoritmo per tenerci incollati a guardare sempre di più, a ricevere sempre più informazioni (da una lezione di fisica a un balletto sexy).
La saturazione dialettica e informativa a cui siamo esposti continuamente riempie il nostro tempo, la nostra immaginazione e il nostro potenziale dialettico (altro).
Anche perché il capitalismo avanzato si caratterizza per uno stile di vita frivolo, edonistico (che fa girare l’economia: migliaia di persone in fila in autostrada per andare in villaggi vacanze, ribaltamento allegro del campo di sterminio; migliaia di persone in fila per entrare allo stadio, come animali al macello).
L’intrattenimento è ribaltamento goliardico della repressione e del genocidio sistematico.
Il pensiero è spreco di tempo, il dialogo lo è, le persone devono usare il loro tempo per un continuo godimento alternato al lavoro (ormai non più veramente necessario in modo massivo e che genera una disoccupazione sempre più alta in Occidente, usata a sua volta per criminalizzare minoranze e giovani: pigri, ignoranti, viziati, ecc).
La precedente società europea contava sul Carnevale come momento di ribaltamento, in cui nell’assenza di regole, ogni corpo sociale ribadiva la propria adesione volontaria al discorso sociale (il gioco carnevalesco, come ogni gioco fa notare Huizinga, deve avere regole e limiti, altrimenti non è divertente). Oggi viviamo un carnevale perenne.
La stessa ironia rende ancora più carnevalesca la situazione: una vignetta su Trump, una battuta arguta dei Simpson, una riflessione sagace dell’intellettuale di turno, tutto conferma la normalità, la permissività e la contemporanea adesione dei discorsi al reale.
Il regime del dialogo carnevalesco che in finale distrugge ogni serietà, ogni momento di riflessione, trasforma la vita in un meme tragicomico: annichilisce il dissenso, allarga permanentemente (in una guerra alla precedente normalità -non che questa fosse realmente tale, ma così era percepita-) la sfera del diritto a scapito del limite.
Qui cade l’elemento tragico dell’Occidente e la rivalità che abbiamo sviluppato con il resto del mondo, che (quando non povero e quindi da trattare con paternalismo) percepiamo come nemico dispotico (perché ancora sottoposto a delle regole sociali).
Nell’Orestea, Clitennestra fa stendere tappeti rossi ad Agamennone tornato da Troia. Il rosso rievoca il prossimo omicidio del marito e l’alterigia (che Agamennone -forse cambiato dalla guerra?- rifiuta). Al contrario, il rosso spopola nelle nostre passerelle, dove i nuovi Dei camminano festosi e isterici, superbi, cinti di corone e pieni di ὕβϱις (innaturale superbia verso l’ordine naturale).
Il punto interessante è che questa pluralità dei dialoghi, garantita dalla società occidentale, annulla la pluralità stessa, rendendo impossibile un discorso e impedendo la formazione di un nucleo critico.
Proprio come nella mente umana, l’esubero di discorsi impedisce la formazione di una coscienza unitaria, di un Io e quindi è la psicosi a tiranneggiare.
La società non ha una coscienza, ma un insieme sconnesso di pulsioni contrastanti che la spingono a una sofferenza continua; da qui il paradosso di società ricche, con un benessere diffuso mai avuto nella storia, diritti garantiti, tutela dalla violenza istituzionale e privata, ma infelice, votata al consumo di psico-farmaci e a alti tassi di suicidio.