Il nuovo modello di diritto europeo, quello che ha preso forma con il DSA e che viene applicato nel caso Durov, è l’epilogo di un lungo percorso censorio delle democrazie occidentali che viene messo clamorosamente nero su bianco dal patron di META che parla delle pressioni subite dal governo degli Stati Uniti per censurare diversi contenuti su Facebook. Ma qui siamo alla meta-censura (in un perverso gioco di parole) con cui probabilmente la censura censurerà anche l’ammissione di praticare censura.
Zuckerberg: “Pressioni dalla Casa Bianca per censurare contenuti su FB”
In una lettera ufficiale consegnata al presidente della Commissione Giustizia della Camera dei deputati statunitense, Mark Zuckerberg ammette che l’amministrazione Biden–Harris ha fatto pressioni per censurare diversi contenuti ai tempi del COVID e non solo. Lettera svelata dal ‘Judiciary GOP‘, la commissione della Camera sulla magistratura, presieduta dal repubblicano Jim Jordan.
Zuckerberg riconosce di aver ceduto in più di un’occasione a queste pressioni, privando quindi i cittadini statunitensi del diritto costituzionale a un’informazione libera e trasparente.
Inoltre il patron di Meta certifica di aver impedito la diffusione della notizia del computer del figlio di Biden, Hunter, pubblicata dal New York Post pochi giorni prima delle presidenziali del 2020, quando si affidò ai fact-checkers della sua società che validarono la versione dell’FBI secondo cui si trattava di ‘disinformazione russa’. E invece era tutto vero; peccato che la stampa americana lo abbia ammesso solo molti mesi dopo.
Zuckerberg ha espresso rammarico per quanto accaduto e ha dichiarato che ha cambiato le regole sui fact-checkers.
Una notizia di una gravità inaudita che sta passando sotto silenzio, e questo purtroppo non sorprende. Tutto ciò, abbinato alle nefaste prospettive censorie del Digital service Act in vigore nell’Unione Europea, come stiamo vendendo nel caso Durov, rimanda a un quadro drammaticamente cupo che si trasforma in farsa ascoltando le parole pronunciate ieri dal vicepremier Antonio Tajani e dal commissario Ue Paolo Gentiloni, sui rischi della ‘disinformazione’, che sarebbero rischi anche per la democrazia.
Sono loro un rischio per la democrazia.