Non accennano a placarsi le tensioni in Libia. Nei giorni scorsi aveva fatto assai discutere l’annuncio di Osama Hammad, primo ministro designato dal legittimo parlamento libico di sospendere le esportazioni di petrolio “fino a nuovo avviso” in risposta agli “attacchi alla dirigenza e ai dipendenti della Banca Centrale libica da parte di gruppi non autorizzati, istigati e aiutati dal Consiglio presidenziale, che ha assunto l’autorità illegalmente”.
In sostanza il governo di Bengasi, che controlla la parte orientale della Libia, dove si trovano la maggior parte delle risorse petrolifere del paese, ha annunciato lo stop alla produzione e all’export di greggio. La decisione era stata presa come risposta al tentativo del governo di unità nazionale che governa appoggiato dalle milizie su Tripoli e sul nord-ovest del paese, di sostituire il governatore della Banca centrale (che fondamentalmente gestisce i miliardi le ingenti risorse generate dalla vendita del petrolio). Le dichiarazioni hanno subito provocato un incremento del prezzo del petrolio sulla scena economica internazionale.
Facciamo però un passo indietro: l’undici agosto gruppi di persone (tra loro alcune armate) avevano cercato di espellere Seddiq el-Kebir (governatore della Banca centrale libica, in carica dal 2012), diventato inviso agli occhi di Abdul Hamid Dbeibeh (a capo del governo di unità nazionale di Tripoli).
Successivamente sarebbe giunta notizia del rapimento del direttore del settore informatico della Bcl, Musab Msallem.
Nel vortice di tale tensione, il governatore metteva in congedo tutti i dipendenti della Bcl e abbandonava l’edificio.
Da lì a breve, sarebbe stata annunciata dal Consiglio presidenziale, organo di fatto sotto il controllo di Dbeibeh, una commissione per un fantomatico passaggio dei poteri. Scelta ovviamente, contestata dalle autorità di Bengasi che da parte loro denunciavano pubblicamente gli attacchi e i tentativi d’incursione con la forza nei locali della Banca Centrale Libica.
Sarebbe seguito contestualmente l’annuncio dello stop alle esportazioni; il prezzo del Brent segnava già un aumento del 3% il 26 agosto scorso arrivando ad attestarsi a 81 dollari al barile.
Ulteriori rialzi potrebbero avere un impatto diretto sull’economia italiana: la Libia è bene ricordarlo, è ritornata dopo anni a divenire la principale fornitrice di petrolio del nostro Paese. A risentirne sarebbero anche Grecia, Spagna e Francia, anche loro grandi importatori di petrolio libico.
A fronte di una situazione politica interna assai complessa, si rileva il dinamismo delle grandi potenze internazionali nel Paese, ben consapevoli della sua importanza strategica e attratte dalle sue ricchezze energetiche e dalle sue opportunità economiche.
Sono oramai lontanissimi gli anni in cui l’Italia era il primo partner commerciale e stretto alleato del paese a suo tempo guidato da Gheddafi: ciononostante il governo di allora guidato da Berlusconi, acconsentì a partecipare all’avventura bellica degli anglosassoni e dei francesi andando contro gli interessi commerciali nazionali e vanificando storici accordi e relazioni di lungo corso con Tripoli,con conseguenti ingenti perdite economiche e di fatto finendo poi per obbligare il nostro sistema-paese a farsi anche carico delle conseguenze della destabilizzazione libica, a partire dalla questione migratoria.
Oggi a cercare di intrecciare le proprie trame in un paese di fatto diviso in due, che attende da troppo tempo la possibilità di indire nuove libere elezioni, sono ben altri attori internazionali.
Va in tal senso citato l’incontro avvenuto il 27 agosto che ha visto il generale statunitense Michael Langley e l’incaricato d’affari Jeremy Berndt dell’US Africa Command relazionarsi con il comandante dell’esercito nazionale libico, Haftar (formalmente per sviluppo della partnership e lo scambio di esperienze nei campi militari e di sicurezza ). Sorge dunque spontaneamente il dubbio che gli Usa cerchino di controbilanciare con iniziative di tale genere le relazioni russe con Haftar.
Dal canto suo, il Regno Unito per il tramite del proprio ambasciatore in Libia, provava a dire la propria sulla questione del governatore della banca centrale libica, conferendo con il presidente del Consiglio Supremo di Stato (Khaled Al Mishri); del “Dio degli inglesi non fidarti mai” cantava De Andre’( n.d.a).
Contestualmente la Cina da tempo si muove per sviluppare relazioni diplomatiche e fare business nel Paese: da ultimo la National Cement Company-società statale che risponde al Governo di unità nazionale (GNU) di Tripoli guidato da Abdelhamid Dabaiba – ha infatti sottoscritto un accordo di cooperazione con la società cinese Sinoma per la realizzazione di una nuova linea di produzione presso la Lebda Cement Factory. Il progetto contempla una capacità produttiva di 6.600 tonnellate quotidiane