Mentre prosegue senza tregua il massacro del popolo palestinese, Israele intensifica le azioni militari oltreconfine mirando ad estendere il conflitto a Libano e Iran.
Libano, venti di guerra israeliani
Negli ultimi mesi, Israele ha intensificato i suoi attacchi contro Hezbollah nel Libano meridionale, sollevando preoccupazioni circa un possibile allargamento del conflitto all’intera regione, includendo anche l’Iran.
Questa strategia, sostenuta dagli Stati Uniti e da diversi membri della NATO, sembra mirare non solo a indebolire le forze di Hezbollah, ma anche a consolidare il controllo israeliano sull’area e ad aprire nuovi fronti di conflitto.
Il Libano, da decenni teatro di scontri tra vari imperialismi regionali e internazionali, è ormai un terreno di battaglia frammentato, dove milizie legate a diverse fazioni etniche e religiose si contendono il potere.
Questa situazione ha progressivamente indebolito il paese come entità statale, rendendolo vulnerabile agli interventi esterni. Israele, in particolare, ha giocato un ruolo cruciale in questo contesto, cercando di sfruttare la fragilità del Libano per raggiungere i propri obiettivi strategici.
Negli ultimi giorni, le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno lanciato una serie di attacchi contro postazioni di Hezbollah, giustificandoli come misure preventive contro presunti attacchi imminenti.
Tuttavia, molti osservatori ritengono che questi attacchi facciano parte di una più ampia strategia israeliana volta a creare un nuovo equilibrio di potere in Libano, riportando il paese sotto l’influenza israeliana come avveniva negli anni ’80, quando Israele sostenne le milizie cristiano-maronite.
Queste ultime furono responsabili di massacri nei campi profughi palestinesi, un episodio che rimane una macchia indelebile nella storia del conflitto.
La retorica del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sembra confermare questa ipotesi. In recenti dichiarazioni, Netanyahu ha lanciato avvertimenti sia a Hezbollah che all’Iran, suggerendo che le azioni militari di Israele non si fermeranno qui.
Queste parole, insieme all’escalation militare, sembrano mirate a sabotare qualsiasi tentativo di negoziato per un cessate il fuoco a Gaza, mantenendo alta la tensione nella regione e impedendo una risoluzione diplomatica del conflitto.
L’Iran, da parte sua, è considerato da Israele il principale sostenitore di Hezbollah e un nemico strategico da neutralizzare. Gli attacchi israeliani contro obiettivi in Iran negli ultimi anni fanno parte di una campagna più ampia per ridurre l’influenza iraniana nella regione e prevenire il rafforzamento delle sue capacità militari.
Anche in questo caso, gli attacchi sono spesso giustificati come “preventivi”, ma dietro questa logica difensiva si cela la volontà di Israele di dominare l’intera area mediorientale.
Il ruolo degli Stati Uniti è cruciale in questa dinamica. Washington fornisce a Israele un supporto militare, finanziario e diplomatico essenziale, come dimostrato dalla recente fornitura di armamenti per un valore di 20 miliardi di dollari.
Questo sostegno consente a Israele di mantenere una posizione di forza nei confronti dei suoi nemici, mentre gli Stati Uniti utilizzano il conflitto per rafforzare la loro presenza militare nella regione, dislocando portaerei nel Mediterraneo e schierando sofisticati sistemi di sorveglianza e missilistici.
Tuttavia, l’escalation del conflitto comporta rischi significativi, non solo per la stabilità della regione, ma anche per le stesse potenze coinvolte. Un attacco su larga scala al Libano o all’Iran potrebbe avere costi politici, militari e finanziari elevati, minando il sostegno interno e internazionale per le politiche aggressive di Israele.
Inoltre, l’opinione pubblica occidentale, già critica nei confronti delle azioni israeliane a Gaza, potrebbe reagire negativamente a un ulteriore allargamento del conflitto.
Questa strategia rischia di destabilizzare ulteriormente una regione già fragile, alimentando un ciclo di violenza e distruzione che potrebbe avere conseguenze imprevedibili e devastanti.