Dopo 10 mesi di massacri a Gaza è ignobile utilizzare ancora la foglia di fico dell’antisemitismo per coprire e giustificare le azioni criminali di Israele.
Denunciare Israele per i crimini di guerra non è antisemitismo
Dagli attentati terroristici del 7 ottobre e soprattutto dopo l’inizio dei massacri a Gaza uno dei temi maggiormente battuti dalla stampa riguarda l’antisemitismo. In Italia ne ha scritto pochi giorni fa sul Corriere anche Paolo Mieli.
Scritti dello stesso tenore si trovano anche sulla stampa internazionale. Ad esempio Le Monde, in un articolo uscito proprio il 28 agosto, giorno dell’inizio delle violenze in Cisgiordania, ha pubblicato un editoriale dove emerge la forte preoccupazione per l’aumento della violenza contro i francesi di origine ebraica e i simboli religiosi.
Recentemente sono state ad esempio bruciate due auto davanti a una sinagoga di Nîmes.
Fatti gravi, che indubbiamente vanno condannati e fermati. Non faccio del resto fatica a credere che in Europa stia crescendo la riproduzione di luoghi comuni sugli ebrei, insieme a stereotipi e non detti che anticipano la formazione di quel grumo di pensieri razzisti e appunto antisemiti.
Lo si vede anche sui social network. Nell’ultimo mese io stesso ho bannato una decina di persone che si servivano delle mie critiche a Israele per veicolare i propri messaggi razzisti.
Quello che mi chiedo è se tutte queste manifestazioni di odio abbiano la medesima spiegazione e se siano addirittura assimilabili. Il terreno è molto scivoloso.
L’unico modo per uscirne è quello di distinguere le politiche israeliane – a mio avviso criminali – dai fattori più propriamente etnici e biologici che nulla hanno a che vedere con le violenze di Israele. Eppure qualcosa non va.
L’impiego generalizzato dei temi relativi all’antisemitismo indeboliscono questa distinzione. Il timore di essere tacciati di antisemitismo anche solo per riprodurre dati incontestabili è molto forte in Europa, specie fra gli intellettuali.
Lo stesso stato di Israele, in maniera molto netta e direi profondamente ignobile, non esita ad accusare di antisemitismo chiunque critichi le sue politiche militari o metta in discussione il principio di “autodifesa” con il quale si giustifica quello che è tecnicamente un vero e proprio genocidio contro i palestinesi.
Persino l’Onu e il tribunale internazionale dell’Aja sono stati definiti come organizzazioni antisemite. È accettabile l’uso disinvolto e politico di questo appellativo? Sono accettabili le generalizzazioni che portano tutto nell’unico calderone dell’antisemitismo?
Ovviamente non lo sono. E non lo sono in primo luogo perché creano confusione su cosa è stato l’antisemitismo europeo che ha alimentato il nazismo e il fascismo con le teorie della razza e la creazione dei campi di sterminio.
Ma non lo sono anche per un’altra ragione. Porre la discussione sulla guerra nel quadro dell’antisemitismo produce un doppio effetto. Da un lato, si assolutizza, e si sposta su un piano morale l’azione anticoloniale dei palestinesi: ogni loro atto non sarebbe più spiegabile storicamente con l’occupazione e le gigantesche violenze di cui sono vittime, ma sarebbe dovuto a un fatto che si inserisce nella genealogia dell’antisemitismo.
Dall’altro lato, si relativizza e si sminuiscono le responsabilità politiche di Netanyahu e del suo governo sui fatti di Gaza: il terrorismo di stato israeliano, i 40mila morti, i 200mila feriti, l’orrore seminato ovunque e la nuova pulizia etnica in Cisgiordania sarebbero spiegabili come forma di difesa contro il male dell’antisemitismo.
Non è tutto, da questo doppio movimento – assolutizzazione della violenza subita e relativizzazione della violenza compiuta – si genera qualcosa di micidiale, ovvero la destoricizzazione dei fatti di Palestina e il corollario morale che porta a considerare la violenza israeliana giustificabile mentre quella palestinese inaccettabile.
Non è un caso che la ricetta dei partner di Israele, dagli Stati Uniti all’Europa, per giustificare i massacri, sia data dal rifiuto della spiegazione storica e dall’affermazione che predica il diritto all’autodifesa, il diritto cioè a rivendicare una causa superiore rispetto a quella palestinese che ne risulta contingente, di minore rilevanza.
Si tratta ovviamente di una perversione gigantesca, espressione di una dialettica regressiva che trasforma qualcosa di giusto, come la lotta all’antisemitismo, in uno strumento di oppressione e di morte.
Chi parla di antisemitismo, se ha veramente a cuore la lotta contro quelle derive razziste che riportano ai tempi bui del nazismo e del fascismo, dovrebbe tenerne conto.
* Dalla pagina Fb di Paolo Desogus