Emanuel Pietrobon

Pavel Durov non è né un agente né un asset di Mosca, sebbene così sia stato (ed è ancora) descritto dalla narrazione dominante. È un miliardario eccentrico, con spiccate tendenze antisistema, che è stato più volte ai ferri corti col Cremlino nel corso della sua vita. E che oggi si è ritrovato tra i fuochi della Guerra fredda 2.0.

Pavel Durov, il Zuckerberg di Russia, sta circolando in stato di semilibertá per le strade di Parigi. Le accuse contro di lui sono sempre lì, ma gli è stata consentita la libertà su cauzione e con divieto di abbandonare il territorio francese fino al termine del processo.

La Russia può fare per poco, sul piano legale, per riavere il connazionale a casa: Durov ha ottenuto la cittadinanza francese nel 2021, fatto che investe Parigi di una libertà d’azione pressoché totale nei suoi confronti. Resterebbe la via dell’esfiltrazione, sempre ammettendo che sia ciò che vuole Durov e tenendo a mente che l’intelligence francese costruirà un Grande fratello attorno al padrone di Telegram per prevederne e prevenirne la fuga all’estero.

Durov, se non collabora con la giustizia francese, rischia di passare buona parte della sua restante esistenza in prigione per alcuni dei reati più abietti che esistano, inclusa la complicità nella distribuzione organizzata di immagini di minori di natura pedopornografica, che non avrebbe compiuto di persona, attenzione, quanto facilitato all’interno della piattaforma. Non chiudendo i canali segnalati. Non rivelando le identità delle utenze coinvolte in suddetti traffici. Chiudendo entrambi gli occhi per questioni di affari mascherate da protezione assoluta della libertà di pensiero.

Telegram ha chiaramente un problema per quanto concerne la presenza di materiale pedopornografico e la proliferazione di traffici illegali di vario tipo al suo interno. Ma non è questo il vero motivo dell’arresto plateale di Durov. Non lo è perché altrimenti avremmo dovuto assistere all’arresto di Elon Musk, sul cui X si vendono armi da guerra, o di Zuckerberg, i cui social della famiglia Meta non fanno meglio di Telegram in materia di protezione dei minori da sfruttamento e abusi, e ciò non è avvenuto.

Il caso Durov, in sintesi, non è legale: è politico. L’eccentrico miliardario, la cui intelligence privata aveva da tempo captato segnali non rassicuranti provenienti dall’Europa, è una pedina nelle mani della Francia. Emmanuel Macron aspira a ottenere da Durov ciò che non riuscì a Vladimir Putin: le chiavi, in senso figurato, di Telegram.

Putin volle ma non ottenne le chiavi di Telegram che gli avrebbero permesso di intercettare le conversazioni dell’opposizione antisistemica, incoraggiando Durov a emigrare per paura di subire ritorsioni a causa di quel niet. Macron vuole e spera di ottenere le chiavi di Telegram, a costo di sacrificare l’immagine dell’Occidente quale faro di libertà in lotta contro le autocrazie, perché ne va del futuro della Francia extraeuropea e della guerra in Ucraina.

Da alcuni anni, ma in particolare dal 2022, sfruttando la politica della massima tolleranza al crimine, al terrorismo e alla violenza di Telegram, la piattaforma di Durov era diventata il quartier generale virtuale dei servizi segreti e delle forze armate russe. Il social veniva utilizzato dai soldati in trincea per comunicare con gli alti comandi e tra di loro, ma anche da sabotatori, sicari e psico-guerrieri impegnati in operazioni psicologiche e cognitive. Telegram è lo spazio immateriale che ha reso possibile alla Russia di creare la coup belt nel Sahel, tra operazioni di influenzamento dell’opinione pubblica e coordinamento coi golpisti, e di interferire nelle sollevazioni francofobiche del 2021-24 avvenute tra Sudamerica e Pacifico. Telegram è il principale mezzo di comunicazione utilizzato dai soldati russi impegnati in Ucraina.

Avere le chiavi di Telegram equivale ad accedere a un forziere del tesoro in grado di migliorare significativamente la posizione internazionale della Francia. Le conversazioni recuperate da Durov potrebbero essere utilizzate per capire come funziona la guerra cognitiva alla russa e forgiare una controffensiva, potrebbero essere passate all’Ucraina, potrebbero essere passate agli Stati Uniti. Ma resta da capire se e quanto materiale può essere effettivamente recuperato, visti gli strumenti offerti da Telegram per anonimizzare (quasi) completamente le conversazioni tra gli utenti, e se Durov, che ai tempi rifiutò di scendere a patti con Putin, accetterà di collaborare.

Per il mondo dell’informazione e della comunicazione, comunque evolva questa situazione, l’apertura di questo caso è un evento spartiacque. Se per Durov sarà una battaglia per l’indipendenza della piattaforma dalle dinamiche della politica internazionale, per il resto dell’umanità sarà guerra per proteggere il diritto più elementare e più importante, la privacy, dai pretesti che verranno utilizzati per comprimerlo fino a schiacciarlo

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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