In Italia l’occupazione continua ad aumentare, passando dal 64,8% del 2022 al 66,3% del 2023, con una crescita pari a 1,5 punti, contro una media europea di 0,7. Eppure, non è tutto oro quel che luccica: il Belpaese resta infatti fanalino di coda in tutta l’Unione Europea in materia di occupazione, classificandosi ventisettesimo su ventisette. A dirlo sono le nuove statistiche del Quadro di valutazione sociale dell’Eurostat, pubblicate all’inizio del mese. Finta buona notizia anche per quanto riguarda il reddito dei cittadini: se da un lato è vero che gli stipendi stanno aumentando, dall’altro risulta altrettanto vero che il reddito reale (ovvero aggiustato all’inflazione) lordo a disposizione delle famiglie nel 2023 ha registrato un calo, soprattutto a causa della crescita elevata dei prezzi. Come sottolineano alcuni analisti, inoltre, il PIL ha raggiunto i livelli precedenti al 2008, ma i redditi si attestano oltre sei punti al di sotto di quelli del medesimo periodo.
Le statistiche sul lavoro e sui redditi in Italia vanno approcciate con la dovuta cautela, perché sono particolarmente facili da manomettere e rigirare a favore di una propria personale narrativa. Fuor di posizionamenti di sorta, i dati dell’Eurostat mostrano una situazione tutt’altro che rosea per lo Stivale, ma pur sempre in netto miglioramento. In linea generale, quel che si è detto per il tasso di occupazione vale anche per quanto riguarda la disoccupazione: in tale classifica, l’Italia risulta infatti terza in tutta l’Unione Europea, dietro alle sole Spagna (12,2%) e Grecia (11,1%), a pari merito con la Svezia (7,7%); la media europea è pari al 6,1%, e dal 2022 al 2023 Roma ha vissuto un miglioramento dello 0,4%. Le persone che restano disoccupate per lunghi periodi di tempo in Italia sono considerevolmente di più (circa il doppio) rispetto a quelle europee, e in generale il Paese si classifica terzo (4,2%) nella classifica della disoccupazione a lungo termine, dietro alla Grecia (6,2%) e alla Spagna (4,3%).
Sul lato sociale e socio-lavorativo l’Italia figura il secondo peggior Paese in tutta l’Unione Europea, dietro alla Romania (19,3%), in termini di giovani non occupati o non impegnati a scuola dai 15 ai 29 anni, con una percentuale pari al 16,1%. In genere i ragazzi italiani di età compresa tra i 18 ai 24 anni abbandonano gli studi prima degli omologhi europei; i minorenni del Belpaese risultano più a rischio povertà rispetto alla media comunitaria, e tale differenza persiste ma diminuisce, se si prende in considerazione la popolazione nella sua interezza. Situazione negativa anche per quanto riguarda il divario di genere nell’occupazione, per cui l’Italia si classifica al secondo posto in Europa; buoni risultati invece per quanto concerne il divario di occupazione nelle persone con disabilità per cui il Paese risulta ben al di sotto della media Europea, classificandosi terzo in tutta l’Unione.
Se si guarda il reddito degli italiani, esso risulta mal distribuito e – nella sostanza – in calo. I dati del 2023 sono ancora incompleti, e, almeno per ora, sono presenti solo i numeri di 9 Paesi; tra questi l’Italia figura all’ultimo posto. In ogni caso la situazione non pare migliore rispetto al 2022: i redditi reali di due anni fa, infatti, erano maggiori rispetto a quelli del 2023, e in generale Roma si collocava al penultimo posto in tutta l’Unione. I redditi non sono solo bassi, ma anche diseguali: secondo i dati relativi al rapporto tra quintili di reddito, quello italiano, infatti, risulta superiore alla media europea. Il rapporto tra quintili di reddito consiste nel “rapporto tra il reddito totale ricevuto dal 20% della popolazione con il reddito più alto (il quintile più alto) e quello ricevuto dal 20% della popolazione con il reddito più basso (il quintile più basso)”. Secondo Eurostat, l’impatto degli aiuti sociali (al di fuori delle pensioni) sulla riduzione della povertà nel Belpaese è stato minore rispetto a quello degli altri Paesi europei, ma comunque gli italiani vivono un basso grado di insoddisfazione in materia di assistenza sanitaria e subiscono meno dei concittadini europei il sovraccarico dei costi abitativi.
[di Dario Lucisano]