Dopo quasi due mesi di impasse politico in seguito alle elezioni politiche francesi, segnate dall’exploit del partito di sinistra radicale La France Insumise di Jean-Luc Mélenchon, dell’ottimo risultato del Rassemblement National di Marine Le Pen e della battuta d’arresto del partito di Emmanuel Macron, il capo dell’Eliseo ha deciso di ribaltare il risultato delle urne, offrendo lo scranno di primo ministro al conservatore tecnocrate Michel Barnier. Quest’ultimo fa parte del partito repubblicano, che alle elezioni ha subito un enorme tracollo, ottenendo solo il 6,5% dei voti al primo turno. La mossa di Macron rappresenta il più chiaro segnale di una auspicata conventio ad excludendum nei confronti del gruppo di Mélenchon, che vedrebbe tra i suoi attori principali anche la destra lepenista. A differenza delle forze politiche progressiste, infatti, i vertici del Rassemblement hanno assicurato che non intendono presentare una mozione di sfiducia immediata, ma che ascolteranno senza pregiudizi il discorso programmatico del nuovo premier. Mélenchon, che parla espressamente di una elezione «rubata», chiama ora a raccolta il popolo francese per una grande mobilitazione, che inizierà ufficialmente domani.
Il presidente francese Emmanuel Macron ha nominato ieri come nuovo primo ministro Michel Barnier, chiedendogli di «formare un governo di unità al servizio del paese». Più volte ministro, il neo premier non è un volto nuovo neanche a livello internazionale, avendo ricoperto per due volte la carica di commissario europeo a Bruxelles e aver guidato, tra il 2016 e il 2021, le trattative per la Brexit. L’aspetto più saliente consiste nel fatto che Barnier è un esponente del partito Repubblicano, forza politica arrivata ultima alle elezioni. Essa ha infatti ottenuto soltanto 39 seggi, a fronte dei 180 conquistati dal Nuovo Fronte Popolare (Nfp), coalizione di sinistra che include il Partito Socialista, La France Insoumise e i Verdi, dei 159 presi da Ensemble di Macron e dei 142 ottenuti dal Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen. Sulle barricate c’è il vero vincitore delle elezioni, Jean-Luc Mélenchon, che ha evidenziato come Bernier sia «membro di un partito che non lo ha voluto come candidato alle presidenziali del 2022 e che ha 150 deputati in meno rispetto al Nuovo Fronte Popolare», ma che, nonostante questo, «dovrebbe rappresentare una nuova maggioranza parlamentare “stabile”». Ripercorrendo la carriera del neo premier e i suoi principali punti programmatici, Mélenchon ha ricordato in un comunicato le pulsioni securitarie e repressive più volte manifestate dal politico, nonché le logiche iper-liberiste e anti-ecologiste alla base delle sue convinzioni politiche, lontane anni luce delle linee programmatiche della forza che ha trionfato alle elezioni.
È probabilmente proprio il profilo del nuovo premier, selezionato da Macron dopo una lunga serie di giri di consultazione, a indurre Marine Le Pen e il suo gruppo ad accarezzare l’idea dell’astensione in Parlamento, al fine di permettere almeno la nascita di un governo di minoranza che potrebbe, in alcuni casi, cibarsi anche degli “scivolamenti al centro” dei socialisti. La leader del Rassemblement ha infatti dichiarato che Barnier «sembra rispondere al primo criterio che abbiamo reclamato», essendo «un uomo rispettoso e capace di rivolgersi al Rassemblement National, che è il primo gruppo all’Assemblée Nationale, in modo eguale agli altri gruppi». Se nella vulgata politico-mediatica continua ad assumere centralità la battaglia dei blocchi democratici contro lo spettro dell’“onda nera” che avanza in tutta Europa, alla prova dei fatti l’esempio francese dimostra, insomma, come un certo establishment preferisca di gran lunga strizzare l’occhio alle forze della destra più o meno estrema piuttosto che lasciare campo libero ai programmi della sinistra radicale.
Mélenchon, comunque, non demorde, anzi rilancia la sua battaglia. Il leader de La France Insumise ha convocato già per domani una grande mobilitazione del suo popolo, che si riunirà in piazza per protestare contro il “colpo di mano” di Macron. Ad oggi circa 120 manifestazioni, tra raduni e marce, sono già confermate per il fine settimana. Nel frattempo, il movimento Insoumise ha avviato la procedura prevista dall’articolo 68 della Costituzione con l’obiettivo di mettere sotto accusa Emmanuel Macron. A soli sei giorni dalla sua pubblicazione, la petizione lanciata dai seguaci di Melenchon per la destituzione del presidente, reo, secondo i promotori, di una «deriva autoritaria che non ha precedenti nel mondo dei regimi parlamentari e nel sistema della democrazia rappresentativa», ha superato le 250mila firme.
[di Stefano Baudino]