Mario Lombardo
La disperazione del regime di Zelensky continua a manifestarsi con attacchi militari contro obiettivi civili in territorio russo che non hanno evidentemente alcuna utilità tattica né strategica. L’ultimo episodio è stato registrato alle prime ore di martedì con l’incursione di una dozzina di droni alla periferia sud-orientale di Mosca, in seguito alla quale ha perso la vita una donna di 46 anni. Questa operazione arriva a poche ore dalla presa di posizione inedita del cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che nella giornata di domenica aveva sollecitato pubblicamente il lancio di un processo diplomatico per mettere fine alla guerra in corso dal febbraio 2022.
È del tutto possibile che l’uscita di Scholz si ricolleghi alle aperture evidenziate settimana scorsa da Vladimir Putin nella sua apparizione al Forum Economico Orientale (EFF) di Vladivostok. In quell’occasione, il presidente russo aveva ribadito che Mosca “non ha mai rifiutato di negoziare” la pace, anche se non si rilevano ancora segnali di disponibilità di Ucraina e NATO. Le parole di Scholz seguono inoltre la sostanziale bocciatura della richiesta di Zelensky di ottenere l’autorizzazione a utilizzare i missili forniti dall’Occidente per colpire “in profondità” il territorio russo.
Su quest’ultimo argomento hanno con ogni probabilità influito anche le considerazioni di carattere militare, oltre che politico. Lo stesso segretario alla Difesa USA, Lloyd Austin, aveva recentemente ammesso che né i missili a lungo raggio messi a disposizione di Kiev né qualsiasi altra arma potrà incidere sugli equilibri del conflitto. I missili in questione, siano essi ATACMS o Storm Shadow/SCALP EG, non hanno infatti una gittata tale da raggiungere le basi da cui partono missili e caccia russi, mentre la contraerea di Mosca fa segnare livelli di efficacia tali da rendere tutt’al più trascurabile l’impatto di questi ordigni.
Sul governo di Berlino pesano anche le dinamiche elettorali a distanza di un anno dal voto per il rinnovo del parlamento federale. I partiti che sostengono l’esecutivo di Scholz hanno subito l’ennesima batosta a inizio settembre nel voto amministrativo nei “Länder” orientali di Turingia e Sassonia. Qui hanno fatto segnare i progressi maggiori i due partiti alle “estremità” del panorama politico tedesco, i neonazisti di Alternativa per la Germania (AfD) e la sinistra dell’Alleanza Sahra Wagenknecht (BSW), grazie in buona parte proprio all’attitudine estremamente critica nei confronti della crociata anti-russa in corso.
È difficile dubitare, in linea generale, che i paesi NATO e lo stesso regime di Zelensky desiderino esplorare un percorso per uscire dal pantano di una guerra persa a tutti gli effetti. L’avventura suicida di Kursk coordinata tra Kiev e gli sponsor occidentali, invece di mettere sotto pressione la Russia, si sta trasformando in una nuova débâcle per l’Ucraina che rischia di diventare letale. A ciò va aggiunta l’avanzata russa nel Donbass e le recenti incursioni che sono tornate a devastare la rete elettrica del paese, nonché a colpire obiettivi militari connessi alla presenza sul campo di “consiglieri” militari NATO.
Il problema è quanto saranno disposti ad accettare in Occidente o, più precisamente, quali condizioni imposte da Mosca verranno incorporate in un ipotetico accordo di pace senza resistenze da parte di Kiev, Washington o Londra. Il grado di affidabilità è di questi ultimi è inoltre infimo. A ricordarlo è stata propri nei giorni scorsi l’ex sotto-segretaria di Stato USA, Victoria Nuland, una dei principali artefici del colpo di stato di Maidan del 2014, in un’intervista rilasciata alla rete russa “liberal” Dozhd.
La Nuland è tornata sui negoziati della primavera 2022 a Istanbul che avevano di fatto portato a un accordo tra Russia e Ucraina per chiudere la guerra iniziata solo poche settimane prima. Come già più volte ammesso da vari leader nei mesi scorsi, anche la diplomatica americana ha spiegato che il governo ucraino era stato “invitato” dai suoi alleati occidentali a non accettare i termini concordati. L’obiettivo era di continuare a combattere contro Mosca, nonostante le condizioni stabilite all’epoca sarebbero state enormemente più vantaggiose per l’Ucraina di quelle che potrà ottenere da una futura soluzione diplomatica.
Sempre il cancelliere tedesco Scholz ha comunque sostenuto che un’eventuale nuova conferenza di pace sull’Ucraina dovrà vedere la partecipazione anche della Russia. La stessa opinione l’aveva espressa qualche tempo fa anche Zelensky, in seguito al flop dell’inutile summit tenuto in Svizzera lo scorso giugno, appunto senza i rappresentanti di Mosca. Simili dichiarazioni rivelano molto sulle preoccupazioni dei leader di Ucraina e Occidente, ma le prospettive non sono per nulla incoraggianti se le proposte sul tavolo dovessero essere basate sull’assurdo piano di pace promosso da Zelensky.
Il Cremlino continua infatti a non vedere sviluppi positivi in questa direzione e resta alla finestra in attesa di ravvedimenti o, più probabilmente, di sviluppi drastici sul campo di battaglia. Per la Russia la questione della pace è d’altra parte almeno altrettanto complessa e delicata che per i suoi nemici. Se i vertici politici e militari russi hanno già predisposto un piano d’azione per la fase finale della guerra e il periodo successivo, di esso non trapelano molti particolari a livello pubblico.
Ci sono settori militari e del pubblico in Russia che spingono per un’accelerazione delle operazioni per risolvere definitivamente la questione ucraina. Tuttavia, è improbabile che Putin abbandoni nel breve periodo la condotta cauta tenuta finora. I fattori da considerare per Mosca sono molteplici, a cominciare dalla necessità di tenere aperti canali di comunicazione almeno con l’Europa in previsione di una futura normalizzazione dei rapporti.
Molti commentatori indipendenti hanno poi fatto notare come il conflitto ucraino abbia assegnato alla Russia un ruolo di primissimo piano nei processi multipolari e di sganciamento dal dominio globale dell’Occidente. Questo patrimonio di credibilità ottenuto negli ultimi due anni e mezzo rischierebbe di essere compromesso se Mosca dovesse passare alle “maniere forti” in Ucraina, ovvero abbandonando gli scrupoli che finora hanno consentito di limitare al massimo le vittime civili. L’atteggiamento di neutralità o di aperta collaborazione di alcuni paesi nonostante le pressioni occidentali, come India o Turchia, potrebbe venir meno e creare difficoltà a livello diplomatico ed economico per la Russia.
Resta poi anche l’ostacolo della presidenza Zelensky, che Mosca ritiene illegittima dopo che il mandato dell’ex comico televisivo è scaduto lo scorso maggio. Kiev sostiene che la legge marziale in vigore proibisce l’organizzazione di elezioni, ma la Costituzione ucraina prevede in realtà un congelamento istituzionale solo per il parlamento e non per la carica di presidente. Il problema dell’interlocutore risulta dunque evidente, così come andrà risolto quello legato al decreto di Zelensky che vieta trattative diplomatiche con la Russia finché Putin sarà presidente.
Ancora più di rilievo sono i piani che dovranno essere predisposti una volta finita la guerra. Una sospensione del conflitto con gli equilibri odierni – o comunque di poco differenti – lascerebbe intatta l’attuale struttura governativa ucraina. In altre parole, ciò che resterà di questo paese risulterà essere ancora uno strumento dell’Occidente e una minaccia per la Russia, con o senza l’opzione dell’ingresso nella NATO.
Se, invece, il procedere delle operazioni militari russe dovesse provocare un tracollo politico e militare, si aprirebbe uno scenario complicatissimo che include la possibilità di un’occupazione diretta o l’installazione di un nuovo regime compiacente. Soprattutto nel primo caso, lo sforzo richiesto alla Russia sarebbe gigantesco ed è difficile credere che il Cremlino valuti questa ipotesi seriamente. Già l’assorbimento delle quattro regioni a maggioranza russofona comporterà d’altra parte un impegno notevole in termini di ricostruzione.
Per queste ragioni, è probabile che Mosca continuerà la “guerra di attrito” e di logoramento del nemico, in attesa di sfoltire il ventaglio di opzioni a disposizione a seconda anche delle mosse che decideranno di fare le autorità ucraine e i loro alleati in Occidente
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