Ieri, venerdì 13 settembre, nella Repubblica Democratica del Congo, si è concluso il processo alle persone accusate di aver partecipato al colpo di Stato dello scorso maggio, risolvendosi in una condanna a morte per 37 dei 51 imputati. Tra i condannati figurano tutti i cittadini occidentali precedentemente accusati; essi sono, nello specifico, tre cittadini statunitensi, uno di nazionalità belga, uno canadese e uno britannico. Ora gli imputati hanno cinque giorni di tempo per appellarsi contro il verdetto, che, tra le altre cose, prevede anche accuse di terrorismo, omicidio e associazione a delinquere. Tra gli imputati, tutti di origine congolese, è presente anche Marcel Malanga, figlio di Christian Malanga, organizzatore del golpe. Il portavoce del Dipartimento di Stato statunitense, Matthew Miller, ha comunicato che il governo federale sta seguendo la vicenda e ha risparmiato i propri giudizi sulla detenzione dei propri cittadini, confermando la passata posizione degli Stati Uniti, che, almeno per ora, sembrerebbero volere attendere il verdetto finale prima di esporsi.
Il processo ai presunti cospiratori del colpo di Stato è stato annunciato circa tre mesi fa, qualche giorno dopo il fallito tentativo di golpe organizzato dall’uomo d’affari, ex militare e politico congolese, residente negli Stati Uniti, Christian Malanga, morto negli scontri. Gli imputati che rischiavano la pena di morte erano in totale 51, ma 14 di loro sono stati assolti. Oltre a Marcel Malanga, di 21 anni, è stato condannato anche il suo amico e coetaneo Tyler Thompson Jr., che sostiene di essere stato invitato dal figlio dell’organizzatore del tentativo di rovesciamento in un viaggio in Africa e che non avrebbe nemmeno dovuto trovarsi in Congo. Sia Thompson che Malanga affermano di non c’entrare nulla con la pianificazione del golpe, di non aver mai avuto intenzioni politiche e di essere stati trascinati da Christian Malanga, che li avrebbe minacciati di morte. La pena capitale pende anche sulla testa di Benjamin Reuben Zalman-Polun, di 36 anni, imprenditore in affari con Christian Malanga. Vari esponenti della politica statunitense si dicono «scioccati», «dispiaciuti» e «vicini alle famiglie», ma, almeno per ora, nessuno sembrerebbe intenzionato a chiedere il rilascio dei tre cittadini o a premere sul Dipartimento di Stato perché l’autorità centrale si muova per farlo. Lo stesso Dipartimento ha commentato la vicenda molto analiticamente e ha risparmiato i commenti: «Non voglio dare un giudizio sul procedimento, perché siamo ancora nel bel mezzo del processo legale», ha tagliato corto Miller in conferenza stampa.
Come gli Stati Uniti, anche il Belgio sembra non volere esporsi troppo per il proprio cittadino, Jean-Jacques Wondo. Il suo avvocato, tuttavia, accusa le autorità congolesi di essersi «inventate» le prove e sostiene che dietro alla condanna del suo assistito si nasconderebbe un «regolamento di conti». Seppur con qualche riserva, il Regno Unito sembra invece starsi attivando più direttamente per il proprio anonimo cittadino: nonostante non si sia ancora esposto nessun politico di spicco del Paese, un portavoce dell’Ufficio Esteri, Commonwealth e Sviluppo del Regno Unito ha detto all’emittente Sky News che Londra starebbe «fornendo assistenza consolare» al proprio cittadino e di essere «in contatto con le autorità locali»; egli ha aggiunto che il Regno Unito ha presentato «rimostranze ai massimi livelli in RDC sull’uso della pena di morte» e che «continuerà a farlo».
Gli imputati sono tutti accusati di avere partecipato al fallito colpo di Stato dello scorso maggio. Questo è stato organizzato a Kinshasa, la capitale del Paese, domenica 19 maggio, quando una cinquantina di golpisti arrivati dal fiume Congo si sono diretti nel distretto di Gombe, dove si trovano le principali sedi diplomatiche e i palazzi governativi, per assaltare la residenza del ministro dell’Economia, Vital Khamere. Gli scontri presso la residenza di Khamere hanno causato la morte di almeno due poliziotti della sua scorta, lasciando illesi il ministro e i suoi famigliari. Il portavoce dell’esercito della RDC, il generale Sylvain Ekenge, ha inoltre aggiunto che gli obiettivi dei golpisti erano anche il nuovo primo ministro Judith Suminwa e il ministro della Difesa Jean-Pierre Bemba, le cui residenze si trovano anch’esse nel distretto di Gombe. Incapaci di localizzarle, il gruppo di uomini armati si è poi diretto verso il vicino Palazzo Presidenziale per issare una bandiera dello Zaire – il nome della Repubblica Democratica del Congo sotto il dittatore Mobutu Sese Seko, rovesciato nel 1997 – prima di venire fermato e arrestato dalla Guardia Repubblicana. Il loro leader, Christian Malanga, è stato ucciso negli scontri, mentre contro gli altri è stato aperto il processo che ieri ha raggiunto il primo verdetto.
[di Dario Lucisano]