Si celebra la libertà di stampa continuamente, la si evoca, ma l’informazione odierna non è più davvero in grado di produrre una convincente verità pubblica, ma le è rimasto il compito di impedire a qualunque altra verità di farsi largo
La “libertà di stampa” solo celebrata
Il tema della libertà di stampa è sempre caldo, specialmente nei periodi storici di ‘cambio di paradigma’, come quello che stiamo vivendo.
La vita dei giornali è oggi dipendente dal sostegno per mezzo della pubblicità e con le iniezioni di liquidità da parte della proprietà, che infatti dettano senza ostacoli la linea editoriale, deformando completamente la funzione informativa delle testate.
La vita dell’informazione online, oltre agli stessi problemi dell’editoria classica, è sotto costanti attacchi da parte degli organismi di controllo internazionali. La normativa europea per la regolamentazione dei contenuti online – il famigerato Digital Service Act, impone alle Big Tech di prevenire la diffusione di fake news e di rendere più accessibili, per l’utente, i criteri per la moderazione dei contenuti.
Principi nobili in apparenza, ma che essendo di interpretazione molto controversa, nella realtà si sono trasformati in una ghigliottina per tutta l’informazione considerata ‘scomoda’.
La libertà di stampa è uno dei diritti fondamentali stabiliti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, precisamente nell’articolo 19. Tuttavia, solo dopo il crollo dell’Unione Sovietica essa iniziò a essere considerata con serietà, grazie all’illusione che l’unica superpotenza rimasta, gli Stati Uniti, potesse gestire tale diritto senza troppi ostacoli.
In questo periodo, i diritti umani diventarono una giustificazione frequente per campagne di delegittimazione e interventi militari, diretti esclusivamente contro i nemici dell’Occidente, inaugurando l’epoca delle cosiddette “guerre umanitarie” (come in Iraq, Afghanistan e Serbia).
A partire dalla crisi finanziaria del 2008, tuttavia, alcuni centri di potere alternativi hanno iniziato a sfidare il monopolio americano sull’informazione e la “verità”, dando inizio a una fase in cui l’Occidente ha iniziato a reagire con crescente nervosismo di fronte alla libertà di informazione. Un esempio emblematico è la persecuzione di Julian Assange, cominciata nel 2010 con l’accusa (oggi smascherata come infondata) di stupro in Svezia.
Questa tendenza repressiva si è intensificata con l’arrivo della pandemia da Covid-19, portando alla chiusura sistematica di siti web, cancellazione di contenuti e all’uso crescente di algoritmi per oscurare informazioni scomode, attraverso l’uso di parole chiave mirate. Eventi decisivi, come i presunti bombardamenti con armi chimiche in Siria, si sono rivelati costruzioni mediatiche create per giustificare azioni militari.
Anche eventi recenti, come la falsa notizia dei “40 bambini decapitati” da Hamas all’inizio del conflitto, hanno dimostrato come la propaganda giochi un ruolo centrale nel mantenere il controllo sull’opinione pubblica.
Durante la pandemia, solo pochi frammenti di verità sono emersi lentamente, e solo per chi ha mantenuto un occhio critico. La maggioranza dei media mainstream ha continuato a coprire e proteggere una narrativa preconfezionata. Il risultato è un pubblico che, in gran parte, rimane inconsapevole della portata della manipolazione subita.
In un contesto simile, la celebrazione della “giornata mondiale della libertà di stampa” assume un significato quasi beffardo. Le possibilità che, in una nuova era di tensioni internazionali e di una rinnovata “guerra fredda”, si possa avere un’informazione non manipolata sono scarse.
È ironico notare come, in occasioni simili, le grandi firme della stampa italiana si autoincensino per la loro presunta lotta contro le “fake news”, mentre di fatto continuano a sostenere narrazioni comode ai potenti.
Ormai è evidente che l’informazione ufficiale ha perso gran parte della sua credibilità, come dimostrano il calo delle vendite e degli ascolti. Solo una piccola minoranza, perlopiù appartenente alle élite urbane, continua a crederci, poiché ne trae un vantaggio diretto.
In definitiva, il ruolo dell’informazione mainstream non è più quello di creare consenso o di istruire il pubblico. Il suo compito principale è ora quello di soffocare la nascita di nuove voci e alternative narrative.
Se da un lato non riescono più a convincere, dall’altro, continuano a occupare gran parte dello spazio mediatico, soffocando ogni tentativo di emergere di una verità differente