Alexandro Sabetti

Il Governo Meloni sta portando avanti privatizzazioni a tutto spiano, come una grossa svendita, sollevando notevoli perplessità e preoccupazioni per il futuro dell’economia italiana e per il destino di beni strategici dello Stato.

A essere messi sul piatto, oltre alla rete delle telecomunicazioni, troviamo le Ferrovie dello Stato, Poste Italiane, ENI e ora anche i porti, tutte infrastrutture essenziali che rischiano di finire nelle mani di pochi gruppi privati, generalmente stranieri, con conseguenze drammatiche per il tessuto economico e sociale del Paese.

Meloni privatizza ferrovie, porti, rete, Poste…

Nel suo debutto ufficiale al Forum Ambrosetti di Cernobbio, Stefano Donnarumma, nuovo amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, ha parlato della possibile apertura del capitale della società, accennando alla quotazione in borsa.

Una strategia che, sebbene presentata come una mossa per attrarre investimenti, si inserisce perfettamente nel solco di un processo di privatizzazione che, nei casi precedenti, ha portato benefici solo a una ristretta élite economica, a scapito del 99% della popolazione.

Privatizzare le infrastrutture essenziali ha infatti una dinamica ben precisa: prima si tagliano gli investimenti pubblici, rendendo inefficiente il servizio, poi si giustifica la necessità di attrarre capitali privati per “migliorare” la situazione.

Tuttavia, l’esperienza britannica delle Ferrovie, citata anche nell’articolo, dimostra che questo processo non solo non porta i risultati sperati, ma addirittura peggiora la situazione. Nonostante i tagli alla forza lavoro e la diminuzione dei diritti dei lavoratori, i servizi peggiorano, i costi per i cittadini aumentano, e paradossalmente anche la spesa pubblica lievita. I beneficiari? Solo una ristretta cerchia di oligarchi.

La stessa logica si applica alla recente svendita del 25% di Enilive a un fondo speculativo americano, KKR, che già gestisce parte della rete delle telecomunicazioni. Il controllo di queste infrastrutture strategiche da parte di fondi stranieri mette a repentaglio la sovranità economica del Paese, e il fatto che i profitti generati non vadano più nelle casse dello Stato ma in quelle di pochi privati rappresenta una pericolosa deriva economica.

Anche Poste Italiane, che nel 2023 ha registrato un utile di un miliardo di euro, è finita nel mirino del governo, che sta riducendo la propria partecipazione dal 65% al 35%. La logica di “fare cassa perdendo soldi” sembra ormai essere il filo conduttore di queste operazioni, che rispondono più agli interessi dei mercati e delle élite economiche globali che a quelli dei cittadini italiani.

Infine, la proposta del viceministro Edoardo Rixi di privatizzare i porti chiude il cerchio. Anche qui, il copione è lo stesso: prima si è sottoposta la gestione portuale a decenni di sotto-investimenti, creando disservizi e inefficienze, per poi giustificare la necessità di una “riforma” che inevitabilmente spinge verso l’aziendalizzazione e la privatizzazione.

Il risultato sarà la creazione di monopoli o oligopoli portuali, con i rischi che ciò comporta in termini di aumento dei costi e perdita di competitività per l’intero sistema economico.

Queste privatizzazioni selvagge, che si susseguono a ritmo incalzante, rischiano di svuotare l’Italia delle sue risorse strategiche, trasferendo ricchezza e potere decisionale a una ristretta cerchia di soggetti privati, spesso stranieri, e condannando il Paese a una crescente dipendenza economica.

Tutto ciò avviene mentre l’Europa sta affrontando una crisi economica profonda, che rende ancora più irresponsabile la cessione di beni pubblici essenziali per il rilancio e la crescita dell’economia nazionale.

In sintesi, quello che sta accadendo non è solo una svendita, ma un vero e proprio smantellamento del patrimonio pubblico, con conseguenze devastanti sul lungo periodo

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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