La Questura di Roma ha vietato le manifestazioni per la Palestina in programma per il prossimo 5 ottobre nella Capitale. I provvedimenti di divieto delle manifestazioni sono stati ufficialmente notificati agli organizzatori dei due distinti cortei nella tarda serata di ieri, martedì 24 settembre. Il fermo della Questura risultava già a suo modo nell’aria, dopo che il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, aveva dichiarato di stare «valutando» il blocco delle dimostrazioni per evitare che si verificassero «celebrazioni dell’eccidio». Il motivo di tali accuse risiedeva in una frase utilizzata per «pubblicizzare» le iniziative: «Il 7 ottobre è la data di una rivoluzione». Questa stessa frase, comunica la Questura, sarebbe alla base del divieto notificato la scorsa sera agli organizzatori. «La prescrizione da parte della Questura di Roma è un divieto politico», hanno dichiarato i Giovani Palestinesi, tra gli organizzatori di uno dei cortei. Manifestare il 5 ottobre «è un atto minimo di disobbedienza», continua il comunicato, in cui il movimento rilancia la data e la stessa iniziativa: «Scendiamo comunque in piazza».
La notifica del provvedimento di divieto delle manifestazioni è stata rilasciata ieri ai vari organizzatori dei cortei. Nello specifico, si trattava di due distinte azioni dimostrative che avrebbero interessato le strade di Roma: una, messa in piedi dalle Comunità Palestinesi d’Italia, e l’altra convocata da Unione Democratica Arabo Palestinese, Giovani Palestinesi d’Italia, e Associazione dei Palestinesi in Italia. La chiamata era stata lanciata per il 5 ottobre in quanto il fine settimana più vicino alla data “simbolo” del 7 ottobre, «data di una rivoluzione». La formulazione non è piaciuta né al Ministro Piantedosi, né alla Questura di Roma, che per tale motivo ha deciso di vietare la manifestazione giustificando la propria scelta con questioni di sicurezza, pericolo di «infiltrazioni», e, soprattutto, il timore che la dimostrazione si trasformasse in una «celebrazione dell’eccidio», in riferimento proprio agli stessi eventi del 7 ottobre: nelle motivazioni del divieto si legge che «le espressioni utilizzate per pubblicizzare le iniziative per sostenere la causa palestinese il 5 ottobre hanno una motivazione non compatibile con il diritto di manifestare pacificamente, garantito dall’ordinamento giuridico vigente».
I Giovani Palestinesi non si sono lasciati intimorire dalla decisione della Questura: è una questione «politica», denuncia il movimento, in cui «ancora una volta, il governo italiano, forte della sua complicità con “Israele”, utilizza gli strumenti della repressione per mettere a tacere ogni forma di solidarietà nei confronti del popolo palestinese». Effettivamente, non è questa la prima volta che in Italia i tentativi di manifestare a favore della Palestina vengono boicottati con la legge o con la violenza: un analogo divieto a manifestare era già stato notificato in occasione del giorno della memoria, sempre con la giustificazione che dietro le eventuali manifestazioni si nascondesse un «tentativo di inneggiare all’eccidio», che sarebbe andato a minare l’ordine pubblico. In quell’occasione, alcuni gruppi scesero comunque in piazza a manifestare, e diverse città furono investite da momenti di tensione. Nel corso dell’anno, poi, tra Napoli, Pisa, e Firenze, sono stati numerosi i casi in cui le forze dell’ordine hanno sfoderato i manganelli per placare proteste a favore del popolo palestinese. È anche per tale motivo che, nonostante il fermo della Questura, la manifestazione si farà. «Questo divieto non è altro che il preludio dello stato di guerra che entrerà in vigore con il ddl 1660», e costituisce «un precedente pericoloso per chiunque si batta per il diritto alla libertà di manifestazione ed espressione». Scendere in piazza è dunque il «minimo» che si possa fare «prima che non esistano più le libertà fondamentali», denunciano i GP.
[di Dario Lucisano]