Matteo Bortolon

Il 7 ottobre 2023 lo scenario del Medio Oriente ha drammaticamente ripreso campo nel dibattito pubblico, con l’azione militare di Hamas e la rappresaglia di Israele;  testo di Roberto Iannuzzi, Il 7 ottobre tra verità e propaganda (Fazi 2024) si presenta come una agile e scorrevole lettura utile per capire tanto quello che è successo tale giorno quanto i suoi presupposti storici.

Gli anni al volgere del millennio hanno visto un impressionante e quasi ossessiva centralità del Medio Oriente sui media e nel dibattito in politica estera: lo scoppio della Seconda Intifada nell’ottobre del 2000 e la feroce repressione israeliana, accelerata dopo l’11 settembre 2001 (attentati islamisti alle Twin Tower) precedono l’invasione statunitense dell’Iraq. Per il resto del decennio immagini e parole di tale contesto hanno riempito l’immaginario occidentale, con pesanti strascichi nella discussione politica. Le destre all’epoca si sono caratterizzate per una accentuata islamofobia, mentre sul versante progressista una componente molto caratterizzante è stata il rifiuto delle “guerre di Bush” tanto quanto l’opposizione al premier Ariel Sharon.

Lo scorso decennio l’attenzione si è spostata. Gli europei hanno salutato con favore le primavere arabe del 2011, ma la crisi economica e il possibile collasso dell’eurozona hanno calamitato l’attenzione sugli affari interni alla Ue, riducendola per i pur importanti eventi della guerra di Libia e di Siria. Gli Usa hanno conseguito una autonomia energetica che ha reso meno strategicamente importante l’area mediorientale, e si sono maggiormente concentrati sulla rivalità con Cina e Russia, tanto con Obama (il famoso “pivot to Asia”) che con Trump (guerra commerciale con Pechino).

Con il covid, la seguente crisi economica segnalata dall’inflazione galoppante e la guerra in Ucraina, quasi nessuno seguiva più il conflitto arabo-israeliano, salvo addetti ai lavori e attivisti. Ed invece il 7 ottobre 2023 l’opinione pubblica ha dovuto ricordarsi che la questione palestinese esiste ancora.

Il testo di Iannuzzi in poco più di un centinaio di pagine spiega tanto i fatti del 7 ottobre quanto lo sfondo storico. Ai primi è dedicata la prima parte del testo (“La cronaca”), la seconda (“Il contesto”) ne ricapitola i presupposti.

Da quel giorno è quasi passato un anno, e la violenta efferatezza degli israeliani a Gaza ha lasciato quasi sullo sfondo l’episodio da cui si è originata: i miliziani di Hamas e i gruppi loro alleati hanno sfondato l’accerchiamento e sono defluiti nel territorio di Israele, catturando insediamenti e basi militari, prima di essere ricacciati indietro. La narrativa israeliana ha enfatizzato la barbarie di tale atto, in termini di uccisione indiscriminata di civili e altre crudeltà. La prima parte del libro ricostruisce la cronaca di quelle ore, riprendendo alcuni punti controversi: si era parlato di bambini uccisi e decapitati, di uso sistematico dello stupro da parte dei miliziani palestinesi, e simili. Diversi di tali episodi particolarmente violenti sono in realtà stati smentiti dalla stessa stampa israeliana e dall’esercito di Tel Aviv, sebbene rispuntino di tanto in tanto sulla bocca del disinformato commentatore di turno. L’autore non fa sconti in merito alla violenza, ma è chiaro che il governo israeliano ed i suoi tifosi hanno enfatizzato gli episodi più scabrosi e orribili per rafforzare la propria posizione in seno all’opinione pubblica, e va visto quanto ampio sia il margine che la propaganda si è presa.

La seconda parte allarga lo sguardo temporalmente è geograficamente. Dopo alcuni agili paragrafi che ricapitolano le ultime fasi del conflitto arabo-israeliano (inclusa la nascita di Hamas e il singolare modo in cui tale gruppo si è sviluppato, giovandosi dell indebolimento della resistenza palestinese più laica, con l’aiuto di Israele) si arriva alle conseguenze regionali e di larga scala. 

Un importante presupposto dell’attacco del 7 ottobre consiste negli Accordi di Abramo, delle trattative volte a normalizzare il rapporto fra importanti paesi arabi (particolarmente Arabia Saudita) e Israele. Questo da un lato avrebbe tagliato fuori la questione israeliana dal riassetto regionale, volgendola tutta a favore di Tel Aviv, ma dall’altro avrebbe posto tutto il Medio Oriente nel quadro di accordi politico-militari ed economici con gli Usa, scalzando l’influenza della Cina e marginalizzando l’Iran, alleato della Russia. Il testo non sviluppa questo elemento per evidenti motivi di spazio, ma è un utile spunto per capire come la vicenda sia inquadrabile in una prospettiva più generale.

Questo non si sta realizzando, perché la cruenta vendetta israeliana ha reso difficile ai paesi arabi avvicinarsi allo Stato ebraico. Le migliaia di morti civili (giovani, donne, operatori sanitari) ammazzati senza che si sia speso l’1% di energia impiegata per stigmatizzare la Federazione Russa ha reso evidente al mondo (soprattutto fuori dall’Occidente filo Usa) l’ipocrisia di Washington e dei suoi alleati – un succoso paragrafo illustra alcune evidenti responsabilità degli Stati europei nel sostegno al massacro israeliano.

Ad un anno dall’attacco del 7 ottobre le tensioni fra Tel Aviv e i suoi avversari, riuniti nel cosiddetto “Asse della Resistenza”, continuano a produrre attriti e veri e propri attacchi reciproci. Non solo non si vede un barlume di pace, ma nemmeno un termine al processo di escalation delle ostilità. Vale la pena di tornare, col testo di Iannuzzi, al punto d’origine di esso ed ai processi da cui è stato generato e che va a sua volta amplificando.

Un tema che ha fatto discutere molto in Israele è quello degli ostaggi. Se la narrativa dominante ne ha fatto un tema rovente da mulinare contro i palestinesi, giustificando la violenza smisurata dell’esercito di Tel Aviv, nel paese è stato massicciamente impugnato contro il governo Netanyahu, accusato violentemente di non fare abbastanza per riportare a casa i civili che Hamas è riuscito a portare a Gaza. A tal proposito uno strascico polemico riguarda quanto la reazione dell’esercito sia andata a discapito degli stessi civili israeliani: se è indubbio che molti sono stati bersagliati dai miliziani palestinesi, non è ben chiaro quanti siano morti colpiti da “fuoco amico”. Sia per la difficoltà di distinguerli dai palestinesi (gli elicotteri arrivati per esempio non potevano fare affidamento su informazioni affidabili per determinare i bersagli a terra), sia per l’uso della massima potenza di fuoco indiscriminata che secondo diverse testimonianze ha colpito gli stessi ostaggi. La cosa è resa più credibile dal caos in cui a quanto pare si è svolta la controffensiva.

Ancora più macroscopica è stato il fallimento dell’intelligence nel prevedere e prevenire l’attacco: Gaza è fra i luoghi più sorvegliati al mondo dalle forze di uno Stato che vanta una tecnologia di prim’ordine. Il testo riprende il tema adducendo testimonianze di segnalazioni di attività sospette, tutte sottostimate dai vertici, e addirittura di un piano d’attacco palestinese abbastanza corrispondente alla realtà in seguito alla cui acquisizione non sono state predisposte adeguate misure di sicurezza. Iannuzzi non dà una tesi definitiva di fronte a tale fisco, anche se elenca alcuni argomenti senz’altro interessanti ma provvisori: ci vorrebbe una inchiesta seria per capire più precisamente cosa è successo.

Testi come queto sono importanti perché lo strascico delle conseguenze del 7 ottobre è piena attualità. Mentre scriviamo giungono notizie di bombardamenti israeliani in Libano, prefigurandosi una escalation che può infiammare l’intera regione

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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