C’è molta confusione sotto il cielo dei piani ‟di pace” e ‟di vittoria”, ma la situazione non è per niente eccellente. L’assenza di Biden per motivi diciamo meteorologici ha portato alla cancellazione del vertice a Ramstein, e Zelensky si è affrettato a metter su un mini-tour delle capitali europee toccando Londra, Parigi e Roma (prima ancora era andato in Croazia, per il vertice con i paesi dell’Europa sudorientale). A Roma, o meglio a Città del Vaticano, incontrerà domani anche il papa, ma del papa ci importa il giusto, tenendo a mente la frase famosa di un uomo importante: quante divisioni ha, il papa? Perché alla fine, almeno nelle intenzioni di Zelensky, questi piani continuano ad essere sostanzialmente militari e per nulla diplomatici – del resto, se si deve forzare la Russia a sedersi al tavolo delle trattative bisognerà avere qualcosa con cui forzarla. E quindi si va avanti con questo ‟piano di vittoria” che non è mai stato comunicato per intero e i cui punti cambiano di giorno in giorno, a seconda degli umori dell’opinione pubblica interna e internazionale.

Ora, a quanto pare, i quattro punti originari sono diventati cinque e al primo posto, ovviamente, c’è sempre l’ingresso nella NATO senza il quale gli altri hanno poco senso. Sarebbero, gli altri, la protezione dei cieli ucraini sia con l’invio di altri sistemi antiaerei ed antimissile che con l’intervento diretto dei sistemi NATO stanziati in Polonia e Romania, la consegna dei missili Taurus da parte della Germania (che ormai da anni ha chiarito che non vuole inviarli per nessun motivo al mondo) e ovviamente l’autorizzazione ad utilizzarli, insieme agli altri missili, per colpire liberamente il territorio russo. Il quinto punto, quello del quale finora non si era parlato, è trasformare l’Ucraina nell’arsenale della democrazia, ovvero chiedere alle aziende belliche europee di aprire i propri stabilimenti in Ucraina, evidentemente sperando che i russi non li attacchino. Tregue, cessate il fuoco e simili non sono argomenti di cui l’Ucraina voglia discutere, come è stato ribadito anche oggi sia a Londra (dove oltre a Starmer c’era anche Rutte) che a Parigi.

Del tutto in controtendenza appaiono quindi le considerazioni che stamattina un sobrio, quasi funereo Federico Fubini pubblicava sul Corriere della Sera (allego l’articolo in foto), e dalle quali si evince che ormai all’ingresso dell’Ucraina nella NATO non crede più nessuno e ci si sta orientando su un ingresso accelerato nell’Unione Europea. Il problema è che anche questa strada, che consentirebbe a Zelensky (che lo sa benissimo che nella NATO non ce lo vogliono, e sa anche il perché) di portare a casa almeno il secondo miglior risultato possibile, appare molto difficile da percorrere. Al momento l’Ucraina non è in condizione di rispettare né i criteri politici né quelli economici per l’ingresso, né ha la capacità di attuare l’acquis comunitario o di assumersi gli obblighi derivanti dall’adesione, ed è improbabile che in futuro la situazione possa cambiare in bene velocemente. E bisogna poi vedere se i paesi dell’UE ce la vorrebbero, al di là delle belle parole, perché l’ingresso dell’Ucraina sarebbe un colpo devastante per gli equilibri politici, per i fondi di sviluppo, per il mercato del lavoro e per la politica agricola dell’Unione.
Zelensky è incartato. Nulla di quello che possiamo realmente mantenere (perché con le promesse siamo fortissimi) può essere soddisfacente, non tanto per lui quanto per i nazionalisti ucraini, che hanno già esplicitamente detto che se tratta coi russi è un uomo morto. Se non tratta, però, è morta l’Ucraina. Ormai si tratta di limitare i danni, ed è inutile ripetersi che ci si poteva pensare prima.

PS – da oggi pomeriggio ci sono notizie di controffensive russe molto in profondità nell’oblast’ di Kursk, e rapporti su un buon numero di unità ucraine che si stanno ritirando di gran carriera oltre il confine. Domani mattina ne sapremo qualcosa di più: se fossero notizie confermate, si capirebbe meglio come mai a Ramstein non ci è andato più nessuno.

Francesco Dall’Aglio

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