Marquez

Foto di Alexa da Pixabay

In linea con il radicato principio secondo cui ciò che affermano gli americani diventa legge, i social media sono ufficialmente liberi e accessibili a tutti, anche se, di fatto, sono controllati direttamente dal Deep State degli Stati Uniti. A noi resta la libertà di postare i gatti.

Social Network, l’arma del Deep State

Solo mettendo insieme alcuni fatti emersi negli ultimi 2 mesi – senza pensare a tutti i precedenti sennò lo spazio di un breve articolo non basterebbe mai – il quadro che ne emerge è quello di una gabbia dorata che continuiamo a chiamare impropriamente ‘social network”.

Per esempio abbiamo saputo – tutti noi, stiamo riportando cronache non dicerie – che il gruppo Meta (Facebook, Messenger, Whatsapp, Instagram) ha ostacolato le ricerche degli utenti sull’attentato a Trump e bloccava le foto più “iconiche” dell’evento descrivendole come “alterate” sulla base della valutazione di “fact-checker indipendenti”.

Abbiamo poi saputo che Mark Zuckerberg, in una lettera ufficiale consegnata al presidente della Commissione Giustizia della Camera dei deputati statunitense,  ha ammesso che l’amministrazione Biden–Harris gli ha fatto pressioni per censurare diversi contenuti ai tempi del COVID e non solo. Lettera svelata dal ‘Judiciary GOP‘, la commissione della Camera sulla magistratura, presieduta dal repubblicano Jim Jordan.

Zuckerberg ha riconosciuto di aver ceduto in più di un’occasione a queste pressioni, privando i cittadini statunitensi (e gli utenti nel resto del mondo) del diritto costituzionale a un’informazione libera e trasparente.

Sempre quest’estate ci è stato rivelato – tra strette di mani e congratulazioni – che la posizione fisica del leader di Hamas Ismail Haniyeh ucciso a Teheran era stata individuata seguendo le comunicazioni su Whatsapp.

E sullo stesso tema, che dire delle proteste del primo ministro malese Anwar Ibrahim, che pubblicamente aveva accusato Meta di agire come “strumento di Israele” dopo che Instagram aveva cancellato i suoi commenti di condanna dell’assassinio di Haniyeh.

Pensate, se la società di Zuckerberg può cancellare post dalla pagina ufficiale di un primo ministro, quanti problemi può farsi a bloccare i post di un qualsiasi utente, che magari spera anche facendo ‘reclamo’ nelle modalità indicate dal social network, che gli venga restituito il suo ‘patrimonio cognitivo’ andato perduto.

Ma non finisce qui perchè non solo Meta ha brillato per la tutela della libertà di espressione. Che dire di X, l’ex Twitter finito nelle mani di Elon Musk? Il patron di Tesla quest’estate si è messo di gran lena a interferire con la politica interna del Venezuela, non solo con le sue dichiarazioni dirette, o favorendo la diffusione della montagna di fake news sulle elezioni nel paese sudamericano, ma ha tolto la spunta di autenticazione presidenziale all’accoutn ufficiale di Maduro e l’ha aggiunta a Edmundo Gonzales, leader dell’opposizione, vincitore delle elezioni venezuelane secondo Blinken e secondo un exit poll svolto da un’agenzia (Edison Research) legata alla CIA.

C’è da prendere atto che l’influenza del Deep State statunitense sui social media rappresenta oggi il principale strumento di manipolazione dell’informazione a livello globale, e dopo le forze armate, costituisce la seconda arma più potente a disposizione degli Stati Uniti sulla scena mondiale.

E a noi restano i gatti e i post sul “come eravamo”: la Vespa, il supersantos, le cabine telefoniche a gettoni, il colonnello Bernacca, e altre corbellerie simili per dipingere un’immagine idealizzata di un passato che, in realtà, non è mai esistito.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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