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Da settimane, tra crisi economica e politica, la Bolivia è sprofondata nel caos. A un solo mese dagli ultimi grandi moti di protesta popolare, i sostenitori dell’ex Presidente Evo Morales sono scesi in piazza in massa per mostrare sostegno al politico indigeno, contro cui è stato emanato un mandato di cattura con l’accusa di avere avuto una relazione con una minorenne. Ieri, a complicare la situazione è arrivato un presunto attentato contro lo stesso Morales, denunciato dal politico sui social. E così da circa due settimane, l’intero Paese è paralizzato dalle proteste: i manifestanti, guidati da sindacati e gruppi indigeni evisti, hanno istituito decine di posti di blocco in tutti i maggiori centri boliviani, che hanno portato a una carenza di carburante e approvvigionamento di cibo. In breve tempo le proteste nate per sostenere Morales si sono trasformate in un più generale sollevamento antigovernativo contro il Presidente Luis Arce, e le strade del Paese sono diventate teatro di scontri tra forze dell’ordine e manifestanti, con gas lacrimogeni da una parte e lanci di dinamite dall’altra.
Le proteste in Bolivia sono iniziate lunedì 14 ottobre, quando l’ex Presidente Evo Morales è stato chiamato a deporre per uno dei presunti casi pregressi di stupro e pedofilia che lo coinvolgono. In seguito alla notizia, Morales ha respinto le accuse, sostenendo che esse derivino da un tentativo di smembrare il fronte evista e screditare la sua immagine, portato avanti dal governo Arce. Centinaia di persone si sono così mobilitate in sostegno a Morales, portando avanti quelli che vengono definiti “bloqueos” (blocchi). I bloqueos sono una delle forme di protesta più efficaci in Bolivia, per via della struttura delle strade del Paese. Sbarrando le principali infrastrutture, infatti, si riesce con relativa facilità a paralizzare l’intera nazione, interrompendo le forniture di carburante e cibo. Il carburante, in particolare, gioca un ruolo molto importante nell’economia del Paese, perché molti cittadini utilizzano l’automobile per lavorare.
A partire dal 14 ottobre, sono stati installati 22 blocchi, anche se c’è chi stima che potrebbero essere addirittura il doppio. Essi sono stati istituiti nei dipartimenti di Chuquisaca, Oruro, Potosi, e Santa Cruz, ma la maggior parte sono concentrati intorno al Chapare, nel dipartimento di Cochabamba, proprio a causa della sua posizione particolarmente strategica. Sin dal primo giorno, i blocchi stradali hanno provocato carenza di carburante e prodotti alimentari, con un conseguente aumento dei prezzi. A La Paz mancano pollo e riso, alimenti di base della dieta boliviana dal prezzo accessibile. Altri dipartimenti, invece stanno vivendo il problema opposto: a Santa Cruz, il maggiore centro di allevamento di pollo del Paese, gli animali vengono macellati in gran quantità e il pollo viene svenduto perché non si riesce a consegnarlo all’esterno. Iniziate come moti in supporto a Morales, le proteste hanno così portato altre frange di cittadini a mobilitarsi, per chiedere che il governo faccia qualcosa per risolvere la crisi di approvvigionamento nelle città. È il caso per esempio di La Paz, dove lo scorso mercoledì c’è stato uno sciopero dei trasporti pubblici.
Secondo quanto comunica il Presidente Arce, 12 dei 22 blocchi sono stati smantellati. Uno di questi si trovava a Puente Ichilo, Santa Cruz, ed è stato disattivato da una squadra di 700 agenti, che hanno fatto uso di gas lacrimogeni sui manifestanti. Quello di Puente Ichilo non è l’unico caso di escalation di violenza che ha interessato le proteste dei cittadini boliviani. Venerdì, a Parotani, le forze dell’ordine hanno provato a sfondare il cordone stradale dei dimostranti, che in risposta hanno lanciato loro – secondo fonti ministeriali – dinamite e molotov. Dopo gli scontri, 14 poliziotti sono rimasti feriti e 44 manifestanti sono stati arrestati. Per rispondere alle violenze, il ministro dell’Interno starebbe valutando il dispiegamento di membri dell’esercito.
Le proteste delle ultime settimane seguono i grandi moti che hanno investito il Paese lo scorso settembre. In quell’occasione, agricoltori, trasportatori e gruppi indigeni sono scesi in piazza per protestare, tra le altre cose, contro la mancanza di carburante, l’elevata inflazione, la scarsa reperibilità di dollari e la svalutazione della moneta locale. Anche a settembre, i vari gruppi di protestanti avevano dato il via a marce di protesta e blocchi stradali lungo le principali vie di accesso a La Paz, annunciando uno «sciopero a tempo indeterminato» per spingere Arce a rinunciare alla presidenza.
[di Dario Lucisano]