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Oggi sulle colonne del “Manifesto” Guido Liguori affronta il tema della critica al film che il regista Segre ha dedicato alla figura di Enrico Berlinguer affrontando il racconto di una parte del percorso politico del segretario del PCI: dal “golpe” cileno (scaturigine della proposta di “compromesso storico” almeno nella vulgata corrente, perché le cose stavano in maniera più complessa) fino alla solidarietà nazionale e al rapimento Moro (vero punto di crocevia e di svolta nella vicenda politica italiana, nel corso del quale si innestò la faglia – decisiva – tra “fermezza” e “trattativa”).
Liguori fa bene a ricordare come questa scelta temporale risulti monca rispetto all’ultima parte della segreteria Berlinguer: quella dell’alternativa, del rapporto con i movimenti, della “questione morale” (fase caratterizzata, più modestamente, dalla confluenza del Pdup nel PCI dopo l’accordo elettorale del 1983: confluenza è bene ricordarlo avvenuta però dopo la scomparsa di Berlinguer e nel corso della segreteria Natta).
Soprattutto – ed è questo il punto – Liguori sottolinea un elemento: al di là delle scelte specifiche assunte di volta in volta e – appunto – di volta in volta opinabili restano due questioni:
1) la tenace osservanza degli ideali e dei valori socialisti in una visione di superamento della società capitalista (al momento della sua morte Pintor titolò il “Manifesto”: è morto un buon comunista);
2) il modo di far politica dei comunisti (intesi in senso lato, oltre la stretta dimensione di partito): il loro atteggiamento di fondo, su un protagonismo – scrive Liguori – : “anche dei massimi dirigenti sorretto da ideali e non da interessi personali, espressione di un noi collettivo e non di una ipertrofia dell’io”.
A questi due punti se ne dovrebbero aggiungere altri due per formare una piattaforma di discussione non semplicisticamente rivolta al passato:
1) L’idea di una funzione “pedagogica” del Partito, quale soggetto di acculturazione di massa in una fase nella quale la politica si collocava al vertice delle attività umane e il PCI era stato in grado di elaborare un’originale teoria delle sovrastrutture considerando il marxismo una concezione del mondo rivolta a cogliere le possibilità storicamente date nella prassi sociale. In queste emerse un vero e proprio dato di “concretezza” nell’azione politica dei comunisti;
2) La complessità dell’aggregazione sociale che nel Partito Comunista si era realizzata avendo al centro la funzione della classe operaia. Funzione della classe operaia che consentiva lo stringimento di una rete di relazioni umane tale da far considerare il partito una vera e propria comunità militante. Una funzione di aggregazione sociale all’interno della quale il concreto dello scontro politico si sviluppava certamente su base ideologica ma considerando questa quale punto di partenza dell’indispensabile analisi delle contraddizioni sociali via via operanti sulla carne viva della realtà umana.
Erano queste le basi sulle quali si sviluppava il tema della “diversità” del PCI all’interno del sistema dei partiti: si realizzava così una politica delle alleanze vista in funzione di una visione strategica dell’evoluzione politica e non di una mera accelerazione politicista delle dinamiche sociali, economiche, culturali, come avviene oggi in un quadro drammatico di arretramento culturale.