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Il presidente del Venezuela Nicolas Maduro ha fornito nuovi dettagli sulla clamorosa decisione. Accusando formalmente Eduardo Paes Saboia, un diplomatico che avrebbe agito in difformità con il volere di Lula
Recentemente, la decisione clamorosa del Brasile di opporsi all’ingresso del Venezuela nei BRICS ha sollevato una tempesta diplomatica che ha messo il Brasile e il presidente Lula sotto una cattiva luce nell’ambito del blocco BRICS. L’evento si è verificato a Kazan, in Russia, il occasione del XVI vertice del blocco multipolare e ha visto il Brasile, attraverso un rappresentante con posizioni ideologiche legate all’amministrazione precedente del fascio-liberista Bolsonaro, rifiutare la richiesta venezuelana di adesione al gruppo, suscitando reazioni forti da parte del presidente Nicolás Maduro.
Maduro ha dichiarato che il veto è stato esercitato da Eduardo Paes Saboia, un diplomatico brasiliano che avrebbe agito in difformità con gli orientamenti del presidente Lula da Silva, mettendo in evidenza le divergenze esistenti tra la presidenza brasiliana e l’apparato diplomatico del Ministero degli Affari Esteri, noto come Itamaraty. Maduro ha descritto questo intervento come un’azione di stampo “intransigente e fascista”, definendo Itamaraty come un’istituzione praticamente controllata dagli Stati Uniti e distante dagli ideali della politica brasiliana espressi da Lula negli anni.
Inoltre, il presidente venezuelano ha sottolineato che il blocco dei BRICS, composto da potenze emergenti come Russia, Cina, India, Sudafrica e Brasile, rappresenta una visione multipolare del mondo. Il Venezuela, per sua natura e storia politica, si ritiene una parte legittima di questo assetto che cerca di rompere l’egemonia unipolare degli Stati Uniti e dare voce al Sud Globale. “Noi apparteniamo ai BRICS da oltre 200 anni,” ha affermato Maduro, richiamandosi all’eredità di Simon Bolivar e Hugo Chávez e alla visione di un mondo multipolare. Questa posizione, fondata su una politica anti-imperialista e anticolonialista, ha portato il Venezuela a consolidare rapporti con molte altre nazioni emergenti e potenze mondiali, dal Medio Oriente all’Africa, all’Asia.
Le dichiarazioni del governo venezuelano sono state chiare e ferme nel condannare l’atteggiamento brasiliano come un’aggressione mirata e “sfacciata” contro la sovranità del popolo venezuelano. Caracas ha accusato Itamaraty di “inganno della comunità internazionale”, descrivendo una politica estera brasiliana influenzata da un’impostazione ideologica che minaccia la stabilità diplomatica tra i due paesi.
Il Venezuela ha ricordato al Brasile il dovere costituzionale di mantenere una politica di non interferenza, invitandolo a rispettare l’autodeterminazione del popolo venezuelano e gli accordi delle Barbados, firmati da leader venezuelani senza la partecipazione diretta di attori esterni. L’accusa rivolta a Itamaraty non è nuova, ma appare come una recrudescenza delle tensioni che hanno segnato il recente passato delle relazioni diplomatiche tra i due paesi, oscillanti tra cooperazione e scontro.
Il controllo USA sulla politica estera del Brasile
Il Palazzo Itamaraty, situato a Brasilia, in Brasile, è la sede del Ministero degli Affari Esteri del Paese. È il simbolo del potere diplomatico del Brasile e svolge un ruolo cruciale nel plasmare la politica estera del Paese. Tuttavia, negli ultimi anni, sono aumentate le preoccupazioni sul livello di controllo degli Stati Uniti su Itamaraty e sul suo impatto sulla sovranità del Brasile.
Gli Stati Uniti hanno esercitato la loro influenza sull’America Latina fin dal periodo della dottrina Monroe, all’inizio dell’Ottocento. Il Brasile, in quanto nazione di grande rilievo regionale, non è stato un’eccezione, anzi gli Stati Uniti vi hanno sempre puntato molto. Durante la Guerra Fredda, la presenza statunitense nelle istituzioni brasiliane si consolidò, sia per contenere l’influenza sovietica, sia per promuovere governi favorevoli agli interessi occidentali. L’influenza sugli apparati militari e di intelligence fu evidente, ma altrettanto significativo fu il condizionamento diplomatico su Itamaraty. Particolarmente dopo il golpe, in cui gli USA hanno avuto un ruolo centrale, contro il governo di Joao Goulart. Per oltre un decennio dopo il golpe, parlare del coinvolgimento degli Stati Uniti nel colpo di Stato militare del 1964 in Brasile è stato considerato una teoria del complotto. Ma le cose cambiarono nel 1976, quando fu rivelato il contenuto delle comunicazioni tra l’ambasciatore USA in Brasile tra il 1961 e il 1966, Lincoln Gordon, e il governo statunitense.
“Se la nostra influenza deve essere esercitata per aiutare a scongiurare una grande catastrofe qui – che potrebbe rendere il Brasile la Cina degli anni ’60 – questo è il luogo in cui sia io che tutti i miei consiglieri anziani crediamo che il nostro sostegno debba essere collocato”, si legge in un cablogramma datato 27 marzo 1964, quattro giorni prima del colpo di Stato.
La lettera di Gordon è la prova dell’Operazione Brother Sam, che utilizzò le forze militari statunitensi per sostenere il rovesciamento del governo di João Goulart (popolarmente noto come “Jango”) a favore di cospiratori golpisti come il generale Castelo Branco. Inoltre, tra il 1961 e il 1964, la CIA ha condotto operazioni psicologiche contro Goulart, ha effettuato assassinii di personaggi, ha versato denaro ai gruppi di opposizione e ha chiesto l’aiuto dell’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID).
Dunque, negli anni, la formazione dei diplomatici brasiliani ha visto una forte interazione con istituzioni e università statunitensi. Molti funzionari di alto livello hanno frequentato programmi e corsi sponsorizzati o finanziati dagli Stati Uniti, importando inevitabilmente visioni e modelli strategici statunitensi. Questi scambi, pur apparentemente innocui, hanno gradualmente plasmato la mentalità di molti diplomatici brasiliani, creando un orientamento ideologico allineato agli obiettivi della politica estera degli Stati Uniti.
L’influenza USA su Itamaraty si esercita anche e soprattutto attraverso canali di ‘soft power’. Washington mantiene un forte controllo sulla formazione e sul pensiero diplomatico attraverso programmi di scambio, finanziamenti accademici, e borse di studio per giovani diplomatici. Inoltre, molte università statunitensi offrono ai funzionari brasiliani percorsi accademici e corsi in diplomazia che rinforzano concetti come la “difesa della democrazia” e la “sicurezza regionale,” sempre declinati in modo da supportare l’agenda politica degli Stati Uniti. Un modus operandi simile viene attuato anche in Europa.
Questo condizionamento avviene non solo attraverso la formazione accademica, ma anche tramite istituti di politica estera e think tank statunitensi, come il Council on Foreign Relations o il Brookings Institution, che forniscono linee guida e rapporti strategici letti e adottati da molti diplomatici brasiliani.
Nel corso del tempo, Itamaraty si è evoluto in un vero e proprio “potere dentro il potere”. Nonostante il Brasile abbia oscillato tra governi più progressisti e più conservatori, la struttura di Itamaraty ha mantenuto una certa autonomia e continuità che l’ha resa capace di promuovere una linea diplomatica costante, sovente allineata alle posizioni di Washington, indipendentemente dall’orientamento politico del presidente in carica.
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Questo potere parallelo ha favorito scelte di politica estera che rispecchiavano gli interessi statunitensi piuttosto che quelli del Brasile o dei suoi alleati regionali. Ad esempio, il Brasile ha spesso adottato una posizione critica nei confronti di governi socialisti o anti-imperialisti in Sud America, come quello del Venezuela, della Bolivia e dell’Ecuador, anche quando questi governi avevano stretto relazioni con presidenti brasiliani di orientamento simile. Questa posizione sembra riflettere una strategia di contenimento che risponde più agli interessi statunitensi che a una reale volontà del popolo brasiliano.
Un altro fattore che contribuisce alla percezione del controllo degli Stati Uniti su Itamaraty è la forte partnership militare tra i due Paesi. Brasile e Stati Uniti si impegnano regolarmente in esercitazioni militari congiunte e condividono informazioni sulle questioni di sicurezza. Basti pensare ai tempi della presidenza Trump, questi definì il Brasile guidato da Bolsonaro il più grande alleato degli Stati Uniti fuori dalla NATO. Una situazione che ha sollevato preoccupazioni sul fatto che le decisioni di politica estera del Brasile siano modellate dagli obiettivi militari degli Stati Uniti, piuttosto che dai suoi interessi strategici.
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Inoltre, il predominio delle multinazionali statunitensi nell’economia brasiliana è spesso citato come ulteriore prova dell’influenza nordamericana su Itamaraty. Queste società esercitano un notevole potere politico ed economico in Brasile e sono spesso viste come coloro che guidano le decisioni di politica estera del paese in linea con gli interessi degli Stati Uniti. A tal proposito, l’ex alto funzionario venezuelano Sergio Rodriguez Gelfestein – in un suo recente articolo – ha ricordato come Lula non sia un rivoluzionario alla Fidel Castro o Hugo Chavez, ma bensì un socialdemocratico come Willy Brandt o Mitterand (personaggio politico molto ammirato dal presidente brasiliano). Dunque questa sua formazione politica lo porta a prendere scelte che non vadano in contrasto con le grandi aziende, anche a scapito degli interessi popolari.
Alla luce di siffatta situazione possiamo affermare che lo stretto allineamento del Brasile con gli interessi degli Stati Uniti mina la sua capacità di affermare la propria sovranità sulla scena mondiale. L’influenza USA su Itamaraty ha implicazioni profonde per la sovranità del Brasile e la sua capacità di portare avanti una politica estera indipendente. Gli Stati Uniti, in tal modo, non solo riescono a mantenere un’influenza sull’intero continente sudamericano, ma impediscono anche che il Brasile possa diventare un leader regionale realmente autonomo. Ogni volta che Itamaraty si schiera contro paesi del Sud Globale, come il Venezuela, e sostiene posizioni allineate a Washington, il Brasile rinuncia a una fetta della propria sovranità e a una posizione di neutralità che potrebbe rafforzare la sua voce nel mondo multipolare che i BRICS vogliono costruire