La prima guerra mondiale uccise 10 milioni di persone.
Una catastrofe che durò quattro lunghissimi anni. Un immenso sacrificio umano compiuto sull’ara laica del più cieco nazionalismo.
Da una parte gli interessi di pochi uomini potenti e dall’altra comuni soldati seppelliti sotto il fango, il sudore, le lacrime delle trincee.
La terribile mattanza iniziata il 28 giugno 1914 con l’attentato di Sarajevo si concluse l’11 novembre 1918.
Mosso da una forte preoccupazione per la ripresa delle idee sovraniste, la crisi delle organizzazione internazionali, i rischi di guerra insiti in una ripresa di confronto diretto tra le grandi potenze, il massacro che si sta realizzando tra Medio Oriente e Ucraina, ho preso spunto dalla ricorrenza riguardante la conclusione della prima guerra mondiale per compilare questo appunto.
Il tema che mi sta a cuore è quello del sorgere di un evidente pericolo di scivolamento del quadro internazionale su posizioni nazionaliste (oggi appunto definite “sovraniste”) : un fenomeno accentuato anche dalle condizioni dettate dal peso dei flussi migratori dovuti alle guerre e all’aumento delle distanze economiche, sociali, ambientali dall’intrecciarsi tra le contraddizioni “storiche” e quelle post-materaliste, dall’incombenza di una tecnologia sempre più sofisticata e dal peso politico abnorme delle grandi concentrazioni di potere derivanti dal web ( le cosiddette “over the top”).
E’ vero che siamo di fronte ad un fallimento come quello della Nato, dell’UE, dell’insieme dell’idea di soggetti sovranazionali (i BRICS rappresentano soltanto un punto di carattere commerciale e non certo hanno ripristinato lo “spirito di Bandung”) e al “ritorno all’indietro” di quello che era stato definito come processo di “globalizzazione”.
L’idea della “cessione di sovranità” dello stato – Nazione era stata incautamente accelerata mentre emergevano, ed emergono, da parte delle grandi potenze posizioni di tipo imperialista.
Si deve allora ricordare la conclusione della Grande Guerra mentre sembra risorgere il nazionalismo, vera matrice di quell’immane conflitto.
Il nazionalismo racchiude in sé tutte le chiusure che si stanno verificando anche qui nell’Occidente sul piano etico, culturale, dell’interscambio.
Un Occidente che i cultori della “fine della storia” pensavano di considerare ancora il punto più avanzato di espressione del pensiero del progresso politico.
E’ necessario allora tornare a far capire che tutte le lotte: contro il razzismo, il militarismo, la sopraffazione di genere, portano in sé una matrice comunque che è quella dello sfruttamento.
Lo sfruttamento che nasce dall’imposizione della logica del profitto sull’insieme delle attività umane.
Il ritorno di Trump avvicinerà ancora di più il pericolo di ulteriori processi di imbarbarimento.
Le forme nelle quali il nazionalismo si è storicamente espresso possono essere così riassunte:
1)Autoritarismo
2)Interventismo armato
3)Apologia della guerra
In sostanza sono stati questi i criteri di politica interna ed estera assunti dalle maggiori potenze europee nel ciclo della crisi internazionale che ha portato al conflitto del 1914 e successivamente a quello del 1939 e che oggi stanno pericolosamente tornando in auge alimentati anche dal governo italiano.
Gli elementi del nazionalismo, dell’autoritarismo e dell’interventismo armato rappresentarono i vettori ideologici per il disciplinamento delle masse e per la loro completa identificazione nel patriottismo fanatico.
La competizione politica, a quel punto, si era trasferita sul terreno delle ideologie autoritarie e di origini biologiste (vedi antisemitismo) e della vocazione imperialista.
Insomma: i punti salienti sui quali si sono innestate le catastrofi del ‘900 e che oggi, in veste modernizzata dalla tecnologia e dalla velocità di comunicazione, sembrano riproposte dalle maggiori potenze mondiali (affari militar – energetici compresi) come dimostra la contesa sui diversi aspetti della transizione in atto: una transizione dagli imperscrutabili possibili esiti.
Tornando alla prima guerra mondiale infine non dimentichiamo il crollo della Seconda Internazionale avvenuto al momento della votazione dei crediti di guerra da parte dell’SPD e del Partito Socialista Francese riuniti nell’union sacrée dei rispettivi nazionalismi.
I socialisti che si opponevano alla guerra diedero vita, in pieno conflitto, a due conferenze svoltesi in Svizzera a Zimmerwald e Kienthal.
Zimmerwald prende forma tra il maggio e il settembre del 1915 e si svolse il 5-8 settembre 1915 per iniziativa di due militanti, lo svizzero Robert Grimm e il menscevico di sinistra Martov e su di un appello lanciato dal Partito Socialista Italiano.
L’incontro di Zimmerwald vide riuniti 38 delegati di 11 paesi: furono rappresentati ufficialmente i partiti che si richiamavano al marxismo, quello italiano, russo, bulgaro, romeno, polacco e lettone, la Norvegia era rappresentata dall’organizzazione giovanile, l’Olanda e la Svezia da gruppi della sinistra dei rispettivi partiti; significative le presenze tedesche rappresentanti la sinistra operaia e francesi.
Il Manifesto votato all’unanimità a Zimmerwald non chiamava alla rivoluzione, ma puntava “a ripristinare la pace tra i popoli sulla base della pace senza annessioni e del diritto dei popoli all’autodeterminazione”, inoltre giudicava la guerra come “ un prodotto dell’imperialismo che mette a nudo il carattere reale del capitalismo moderno” (si sente in questo passaggio la mano dei francesi ma soprattutto di Trotskij).
Kienthal ebbe luogo il 24-30 aprile 1916, nel corso dei lavori la sinistra che si era formata a Zimmerwald con un “appello alla lotta” firmato da 6 delegati (fra i quali Lenin e Zinoviev) allargò ancora i suoi consensi passando a 19 delegati su 44 con l’adesione dei menscevichi e dei socialisti italiani (Serrati e Angelica Balabanoff).
Nel documento finale la classe operaia viene chiamata all’azione di massa per la pace e per le proprie rivendicazioni, fino al “trionfo finale del proletariato”.
Eravamo ormai alla vigilia della Rivoluzione in Russia.