“Il lavoro lo creano le imprese”, “se hanno fatto i soldi significa che sono stati più bravi”, “guai a mettere in discussione il merito”, “i ricchi sono invidiati, ma fanno il bene della gente”…. Quante menzogne dello stesso tipo sentiamo ogni giorno, riversate dai talk show o seminate in ogni anfratto della “comunicazione” mainstream?

Una abilità certamente ci vuole, ma non permetterebbe di accumulare certe ricchezze, o di fissare diseguaglianze così abissali, se non esistesse un meccanismo economico politicamente gestito che permette al famoso “1 per cento” più ricco di detenere quanto il resto della popolazione del pianeta.

I meccanismi economici e fiscali sono ovviamente infiniti, in continua trasformazione, anche perché tutti gli Stati “concorrono” tra loro nel cercare di attirare i capitali. E la “concorrenza” interstatuale si concretizza in trattamenti di favore impensabili per “il comune cittadino”. Anzi, quest’ultimo deve farsi carico per primo di tutti i buchi provocati nelle entrate statali da trattamenti di favore sempre più generosi. Si va dal finanziamento diretto (soldi pubblici per “agevolare l’investimento privato”) fino agli sconti fiscali, sempre più aggressivi. In altri termini, non solo le imprese più forti aumentano i profitti privati, ma diminuiscono enormemente il loro contributo alla “cosa pubblica”, che ricade ormai quasi interamente sulla quota dei salariati.

Negli ultimi dieci anni, passati a cercare rimedi (sbagliati) alla crisi sistemica, lo scarto tra pressione fiscale sulle imprese e livello dell’esazione sui comuni cittadini-lavoratori è diventato così clamoroso da colpire persino i redattori de IlSole24Ore, organo di Confindustria. Non sono ammattiti né passati da questo lato della barricata. Semplicemente, nel gioco delle imprese che “concorrono tra loro” a strappare la quota di riduzione fiscale più grossa, la parte del leone viene fatta – senza sorprese – dalle imprese multinazionali. Ossia da quelle che hanno il più grande potere di pressione, proporzionale alle dimesioni del proprio fatturato, e la possibilità operativa di spostare in pochissimo tempo la propria attività (e sede sociale o fiscale) da un paese all’altro, da un continente all’altro.

Quelle imprese giganti che, insomma, sempre meno hanno le caratteristiche per innalzare la bandiera italica. Anche Confindustria, insomma, comincia a temere che l’eccesso di liberismo e favore fiscale finisca per travolgere la tipologia di impresa di cui è espressione associata.

A voi l’articolo…

Continua…

http://contropiano.org/news/news-economia/2018/03/15/tasse-per-i-cittadini-6-per-le-multinazionali-9-0101885

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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