Mentre sono in corso le manovre post-elezioni per la spartizione delle poltrone, al nostro futuro ci pensano gli agenti del capitale con le consuete ricette. Più che mai serve una vera alternativa.
Mentre il personale emerso dalle recenti elezioni politiche discute sugli assetti della nuova legislatura – presidenze delle camere, possibili maggioranze di governo, alleanze o meno fra Lega e 5stelle, ruolo di Berlusconi, di Renzi, di Martina, di Mattarella, di Bersani, della Meloni… con possibilità di riavvicinamento delle membra dilaniate dell’ex PD (Bersani dixit) per puntare ancora una volta, indomiti, a un centrosinistra – Christine Lagarde, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, ci mette in allarme per un grave rischio: la longevità. Viviamo troppo a lungo, e pare che vivremo ancora di più a lungo. Noi, ingenui, pensavamo che vivere qualche anno in più fosse una buona cosa. I detentori della cassaforte mondiale ci dicono che invece sarebbe uno sfacelo e che quindi, guarda caso, dovremo ancora tagliare le pensioni.
Presentando il Rapporto sulla Stabilità Finanziaria Globale, Lagarde ha dichiarato: “le implicazioni finanziarie del vivere più a lungo sono enormi, se nel 2050 la vita media si allungherà di 3 anni rispetto alle attese attuali, i costi già ampi dell’invecchiamento della popolazione aumenteranno del 50 per cento”. La medicina? Aumentare i contributi versati da parte dei lavoratori ed alzare l’età pensionabile. Ovvero, pagare ancora più tasse ed andare in pensione ancora più tardi. E se ciò non bastasse, diminuire le pensioni. Per questo invita i governi a adottare immediatamente le dolorose riforme che, per la verità, ci stanno propinando da decenni con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. La risposta del Fmi al “problema” della longevità è, tanto per cambiare, un altro passo verso lo smantellamento del welfare, che guardacaso è uno dei punti chiave delle politiche liberiste, insieme alle privatizzazioni e alla riduzione dei diritti dei lavoratori.
Si potrebbe obiettare che la vita media non aumenta – tutt’altro! – per chi deve sopportare lavori usuranti, non ha i soldi per curarsi, non può permettersi condizioni di vita ragionevoli. Che per ogni persona trattenuta in più al lavoro c’è un giovane in meno che trova occupazione. Che le imprese si liberano dei lavoratori più anziani per ricorrere al lavoro sottopagato e privo di tutele, senza che gli espulsi abbiano maturato i requisiti per la pensione e senza che abbiano speranza di trovare un nuovo lavoro. Che il problema della crisi non è la penuria delle risorse, ma al contrario il fatto che il potenziale produttivo non è utilizzabile pienamente nell’ambito dei rapporti di produzione capitalistici, visto che sono i profitti a dettare legge e non i bisogni. Ma tutte queste obiezioni non contano se i governi, dopo qualche mugugno, si allineano a questi dettati.
Poi ci sono le agenzie di rating, che danno i voti alle imprese e soprattutto agli stati, orientando in questo modo le scommesse degli speculatori sulla sostenibilità o meno dei debiti pubblici. Ci sarebbe da dire che non ne hanno indovinata una, che le banche americane più benevolmente valutate, o sono fallite o hanno avuto la necessità del soccorso pubblico; che queste agenzie sono in conflitto di interessi perché a loro volta operano in borsa. Tuttavia sono uno dei soggetti che indirettamente, e con il consenso dell’alta finanza dettano legge.
Una di queste agenzie, Standard & Poor’s, ha sostenuto in questi giorni che le regole della Banca Centrale Europea cambieranno rapidamente e saranno più stringenti nei confronti della banche italiane, che saranno così indotte a mettere sul mercato i loro crediti in sofferenza e a dare meno credito a interessi maggiorati, ovviamente per il benessere della nostra economia! Questa analisi non si discosta da quella dell’altra importante agenzia di rating, Moody’s, la quale aggiunge che “l’Italia è l’unico Stato di Eurolandia con un outlook [prospettiva] negativo. Outlook che riflette soprattutto il rischio che il futuro governo non affronti in modo sostenibile le vulnerabilità a uno shock economico o finanziario“, cioè non tagli abbastanza sul welfare.
C’è anche BlackRock, una delle più grandi società di intermediazione del risparmio, che incide significativamente sull’allocazione dei risparmi. Questa benemerita società, commentando il dopo voto, segnala “la possibilità di pressione sui titoli governativi italiani”, rallegrandosi tuttavia che “nessuno dei partiti ha fatto una campagna anti-euro”. Però, nel suo Flash Mercati del 20 marzo teme che la guerra commerciale dichiarata recentemente da Trumpabbia ripercussioni negative sulla nostra economia. Sulle pensioni apprezza che “gli italiani sono consapevoli e preoccupati di non poter contare sullo Stato per vivere sereni durante la vecchiaia” Tuttavia si lamenta per il fatto che “solo il 56% si ritiene responsabile del proprio futuro, il dato più basso al mondo. Gli italiani tendono a fuggire dalle proprie responsabilità?”.
Insomma è colpa nostra se fin qui hanno disastrato il nostro sistema pensionistico e se continueranno imperterriti a farlo, chiunque governi e dovremmo affidarci di più al mercato privato per provvedere ai bisogni della nostra vecchiaia. Infine gli “investitori” vengono avvisati che la prossima fine del il quantitative easing (cioè i finanziamenti alle banche per acquistare titoli di stato) varata da Draghi, peserà negativamente sul costo del debito pubblico italiano e sulla sua sostenibilità, sconsigliano quindi di investire nel debito pubblico italiano.
Illuminati dalla scienza degli economisti al servizio del capitale, le istituzioni europee continuano a perseguire le solite politiche liberiste, tanto che le divaricazioni fra le economie europee si stanno allargando e non manca chi propone un meccanismo concordato di uscita dall’euro, senza ovviamente penalizzare la poverella Germania.
Insomma, pare che tutti i detentori del bastone del comando abbiano le idee chiare: continuare a far pagare la crisi ai soliti noti. A questo punto sono più importanti le schermaglie tattiche post elezioni per la spartizione delle poltrone o l’atteggiamento da tenere nei confronti di questi soggetti? Se nessuno dei maggiori partiti ne prende le distanze, le differenze programmatiche non avranno nessun rilievo, perché le scelte verranno fatte altrove.
Non vediamo nessuna alternativa a un crescente radicamento dei comunisti nella società, a partire dalla loro partecipazione alla scommessa di Potere al Popolo, per costruire tramite lotte e vertenze una massa critica in grado di mettere in discussione le scelte fatte indifferentemente dai governi di centrodestra, centrosinistra, tecnici, di larghe intese ecc. ecc.
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